A fine 2024 rallenta l'occupazione: quali prospettive per il nuovo anno?

Nonostante i record 2024, la situazione del mercato del lavoro italiano pare preoccupante. Mentre i nostri tassi di occupazione restano poco competitivi in Europa, i problemi che affliggono l'economia del Paese (a cominciare dalla bassa produttività) lasciano intravedere per l'avvio del nuovo anno una possibile fase di stop dei principali indicatori occupazionali

Alberto Brambilla

Come avevamo previsto nei precedenti articoli, nel mese di dicembre prosegue, seppur per cifre modeste il calo degli occupati:- 4mila posti rispetto al mese di novembre che, a sua volta, aveva segnato una riduzione di 13mila posti rispetto a ottobre quando si toccò la punta massima con 24.083.000 di occupati.

 

La situazione nel dettaglio 

In particolare, a dicembre sono aumentati i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato di 93mila unità mentre si sono ridotti, come negli scorsi mesi, i lavoratori a tempo determinato di 69 mila unità e i lavoratori autonomi (-28mila). Restano altalenanti nei mesi i dati su inattivi e disoccupati. Lasciando l’analisi congiunturale mese su mese, rende meglio la situazione occupazionale il raffronto a un anno: dicembre 2024 sullo stesso mese dello scorso anno. Gli occupati totali raggiungono il livello annuale più elevato di sempre con 24.065.000 unità, in crescita di 274mila unità (+1,2%) rispetto ai 23.791.000 del 2023; una crescita inferiore a quella registrata tra il 2022 e il 2023 (+513.000) ma quello che rileva maggiormente è l’incremento rispetto al 2019, anno record per l’occupazione italiana con un +1.039.000 occupati.  In dettaglio, si registra una crescita dei lavoratori dipendenti (+285mila) e una riduzione del lavoro autonomo (-11mila); tra i subordinati aumentano i rapporti di lavoro a tempo indeterminato (+687 mila), mentre si riducono in modo consistente i rapporti a tempo determinato (-402mila): la precarietà di Landini va in pezzi. I nuovi posti di lavoro (+274mila) sono equamente distribuiti tra maschi (+138mila) e femmine (+136mila). Aumentano in modo preoccupante(+167mila) il numero delle persone inattive tra i 15 e 64 anni (+1,2% sul 2023), mentre i disoccupati si riducono di 213mila unità restando tuttavia a oltre 1,593 milioni. 

Pertanto, il tasso di occupazione totale della popolazione tra 15 e 64 anni è pari al 62,3%composto da un tasso di occupazione maschile pari al 71,2% e femminile del 53,4%. Permangono le profonde differenze territoriali: guardando anche ai dati 2023 di Istat, il tasso di occupazione al Nord è pari al 69,4% in crescita dell’1,3%, al Sud del 48,2% (in crescita dell’1,6%) mentre il Centro cresce dell’1,1% a 65,9%. Il tasso di disoccupazione cala al 6,2% (-0,9%), mentre quello degli inattivi sale alla pericolosa percentuale del 33,5% (+0,3%). Il tasso di disoccupazione nelle regioni meridionali (14,0%) è circa 3 volte quello del Nord (4,6%). 

Resta poi il fatto che su circa 38 millioni di italiani in età da lavoro, nonostante il record raggiunto, ne lavorano solo poco più di 24 milioni. Ragione per la quale siamo ultimi nelle classifiche Eurostat (27 + 1 Paesi) per tasso di occupazione totale con circa 9 punti percentuali in meno rispetto alla media UE 27, e 15 punti in meno rispetto a Paesi “competitor” come Olanda, Svezia, Danimarca e Germania. Peggio per il tasso femminile (rispettivamente -13 pp e -22 pp); ancora più negativo il confronto tra i giovani 15-24 anni: -15% rispetto alla media e -35% rispetto agli altri Paesi citati. E nonostante tutte le riforme delle pensioni, il tasso di occupazione tra i 55 e 64 anni resta fermo (anche per le continue anticipazioni) al 57%, cioè solo poco più della metà di quelli che hanno tra i 55 e i 64 anni lavorano: sembra il Paese del Bengodi. Poi però abbiamo quasi 3mila miliardi di debito.

Al di là dei proclami di giubilo per l’aumento dell’occupazione, la situazione resta fortemente preoccupante. E i motivi sono da ricercarsi in quelli che vengono definiti “incentivi impliciti al non lavoro”: tra questi, l’eccessiva spesa assistenziale che cresce a tassi annui superiori al 5%, l’ISEE (la fabbrica del nero), l’AUUF, le anticipazioni pensionistiche e i troppi sussidi. Nel 2023 lo Stato ha trasferito all’INPS per il sostegno alla spesa assistenziale e la lotta alla povertà 164,5 miliardi (20 miliardi meno della spesa pensionistica al netto delle tasse) tutti a carico della fiscalità generale che langue, cifra che aumenta ancora nel 2024. E nella Legge di Bilancio sono previste altre assistenze, mentre c’è poca traccia di politiche attive del lavoro e taglio degli inutili sussidi a carico della fiscalità generale. Tra casse integrazioni, NASpI ed ex Rdc ora ADI, sono assistite oltre 5 milioni di persone ogni anno. 

 

Le prospettive per il futuro 

Nel 2024, secondo gli ultimi dati INPS, sono aumentate le richieste di cassa integrazione rispetto al 2023 con particolare riferimento ai settori “energia elettrica, gas e acqua” (+92,6%), all’automotive, dove il numero di ore di cassa ordinaria è quasi triplicato (da 7,2 a 20,1 milioni di ore) mentre la cassa straordinaria si è ridotta, e al tessile-abbigliamento, dove le ore autorizzate sono praticamente raddoppiate tra 2023 e 2024. Le previsioni per il 2025 sono per un ulteriore incremento della cassa integrazione e della NASpI, che è aumentata nel 2024 dell’1% sull’anno precedente, soprattutto considerando i dati sulla produzione industriale che, in Italia, è in calo da 23 mesi e, nel 2024, si è ridotta del 3,5% con un crollo nel dicembre scorso del 7,1%. Difficoltà particolarmente accentuate in settori come automotive (-23,6%), tessile e abbigliamento (-18,3%) e metallurgia (-14,6%), complice anche la crisi europea (tedesca in particolare) in diversi settori importanti quali auto ed elettrodomestici. L’Istat rileva che la capacità produttiva è scesa sotto il 75%, ai minimi dal periodo COVID. 

Inoltre, permangono tre gravi problemi per l’economia italiana: il costo dell’energia, che è tra i più elevati dell’area OCSE; la pressoché assenza del sistema bancario nel finanziamento delle PMI e microimprese che rappresentano oltre il 96% del totale delle attività, e di quelle sotto i 20 dipendenti, che occupano oltre il 51% dei lavoratori. Le grandi banche, che hanno accorpato la maggior parte delle banche territoriali, non prendono neppure in considerazione le microimprese che senza questi sostegni non crescono e non fanno investimenti perdendo così in produttività, il che si riflette sui bassi salari. Infine, c’è la burocrazia che strozza letteralmente le attività produttive. Il risultato è una modesta crescita del PIL italiano, stimato per il 2025 e 2026 attorno allo 0,8%. 

Per cui, anche senza considerare gli effetti degli eventuali dazi di Trump, le previsioni per il nostro mercato del lavoro non sono positive nonostante il settore turistico-alberghiero abbia nei fatti sostenuto molto l’occupazione e il trend di discesa del relativo tasso potrebbe dunque proseguire anche nei primi mesi del 2025. 

Alberto Brambilla, Presidente Centro studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

3/3/2025

 
 

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