Un difficile incontro: il mismatch tra domanda e offerta di lavoro in Italia

Le difficoltà delle imprese nel reperire risorse umane adeguate raccontano la realtà di un Paese gravemente malato: sul banco degli imputati anche un sistema formativo distante dalle reali evoluzioni di economia, tecnologie e mercato del lavoro 

Natale Forlani

Le analisi periodiche sviluppate dal sistema Unioncamere-Excelsior relative alle previsioni di nuove assunzioni da parte delle imprese italiane rivelano una crescente difficoltà delle stesse nel reperire risorse umane adeguate ai profili professionali richiesti. Quella più recente, focalizzata sulle previsioni relative al primo trimestre dell’anno in corso, evidenzia che il 30,6% del potenziale del fabbisogno di nuove assunzioni, stimato in circa 1,1 milioni di persone, viene ritenuto dalle imprese interpellate di difficile reperibilità.

Un dato impressionante per un Paese collocato nella coda delle nazioni aderenti all'Unione Europea per il tasso di occupazione, con uno scostamento di 10 punti rispetto alla media europea. Equivalente, a parità di popolazione, a poco meno di 4 milioni di occupati. Impressiona soprattutto anche la qualità del mancato incontro tra domanda e offerta, quello che in gergo tecnico viene definito con il termine mismatch. 

La difficile reperibilità non riguarda solo le elevate professionalità, l’insieme delle figure dei laureati nel campo delle scienze, tecnologie, ingegneria e matematica, per quote che arrivano sino ai 2/3 dei profili ricercati. Ma riguarda, per entità superiori al 50%, anche le professioni tecniche nei campi che spaziano dalla programmazione informatica, dalla chimica alle tecnologie di produzione e della commercializzazione, per arrivare fino agli specialisti nel campo sanitario, assistenziale e dell’istruzione. E così fino ad abbracciare l’intero arco delle professioni e delle le mansioni che richiedono una media e bassa qualificazione: il 40% degli operai specializzati in tutti i settori della manifattura e delle costruzioni; il 30% degli addetti alle produzioni alimentari e degli addetti alle vendite nel commercio, aiuti cuochi e camerieri. Difficoltà che aumentano, secondo le aziende interpellate, in modo rilevante nelle aree del Nord e del Centro Italia, in quelle metropolitane, e per la domanda di lavoro rivolta ai giovani.

Sempre secondo le aziende intervistate, le ragioni del mismatch sono molteplici. Spaziano dall'inadeguatezza dei percorsi scolastici e formativi svolti dai candidati, soprattutto per le figure che richiedono un'elevata competenza tecnica, alle deboli esperienze lavorative; si registra inoltre una bassa disponibilità, in particolare delle giovani generazioni, ad accettare rapporti di lavoro che comportano una flessibilità degli orari di lavoro. Il crescente distacco che si è prodotto tra il sistema scolastico e formativo e le dinamiche del mercato del lavoro non può però essere relegato alle caratteristiche delle lauree e dei diplomi. Trova origine soprattutto nell'incapacità del sistema formativo di contaminarsi con quello del lavoro e di adeguare il complesso dei percorsi scolastico educativi alla complessa evoluzione delle tecnologie, dell’economia e del mondo del lavoro.

L'autoreferenzialità del sistema scolastico e la sopravvalutazione dell'importanza del "titolo di studio", anche da parte delle famiglie, continua a generare aspettative che sono lontane, e a volte incompatibili, con quelle reali del mondo del lavoro. La svalutazione del lavoro del lavoro manuale, scioccamente contrapposto a quello intellettuale, è una delle conseguenze di questa deriva. Non è un problema solo italiano, ma in nessun Paese sviluppato ha assunto le dimensioni del nostro mercato del lavoro. Buona parte del mancato ricambio generazionale negli anni 2000, per molti profili e mansioni esecutive, è stato compensato da una fortissima crescita degli immigrati in condizioni di bassa produttività e di basse remunerazioni.

E ha prodotto un lascito di quasi 4 milioni di persone in cerca di lavoro, o disponibili a farlo a determinate condizioni, con bassi livelli di competenze e di occupabilità e di 2 milioni di giovani under 29 che non studiano e non lavorano. Ma il tema è fuoriuscito dal calendario politico. Nel contempo, i 700mila beneficiari del reddito di cittadinanza che dovrebbero essere inseriti al lavoro possono - perché la normativa lo consente - rifiutare i rapporti di lavoro a termine, stagionali o a part-time. Il ministero dell’Interno sta preparando un nuovo Decreto flussi, e probabilmente una sanatoria, per far arrivare più immigrati; l'esecutivo sta cercando risorse per rendere strutturale il pensionamento anticipato per centinaia di migliaia di lavoratori. Come non rimanere sconcertati…

Natale Forlani, Comitato Tecnico Scientifico Itinerari Previdenziali 

19/2/2020

 
 

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