Welfare aziendale, un progetto di impresa che può fare il bene del Paese

Sotto la spinta dei nuovi bisogni sociali, anche il welfare aziendale cresce e si evolve acquisendo un significato sempre più ampio: occuparsi del benessere dei lavoratori, generando ricadute proficue per l’intera comunità in un momento di difficoltà per il sistema pubblico. Trend, consumi e obiettivi futuri: cosa emerge dalle più recenti ricerche in materia 

Mara Guarino

Secondo gli ultimi dati diffusi dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali i contratti di secondo livello (aziendali e territoriali) attivi a marzo 2019 sono 10.441: di questi, 5.532 – vale a dire poco più della metà del totale -  prevedono anche misure di welfare aziendale.

Una percentuale in progressivo aumento negli anni ma, che se analizzata nel dettaglio, restituisce ancora una volta la fotografia di un settore lontano dalla piena maturità e, soprattutto, segnato da profonde differenze. Nella distribuzione geografica, che vede le aziende del Nord prevalere su quelle del Centro e del Sud, e nel settore di attività economica, dove sono servizi e industria superano in maniera altrettanto netta sull’agricoltura. Senza sottovalutare, infine, il fattore legato alla “dimensione aziendale”, a riguardo del quale basterà del resto osservare come, in un tessuto produttivo popolato da micro-imprese come quello italiano, circa la metà dei 10.000 contratti attivi e registrati che prevedono forme premiali legate la produttività riguarda aziende con più di 50 dipendenti. 

 

La barriera dimensionale 

Se è vero, come spiegato dal Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali Alberto Brambilla in una recente intervista, che le cause della minor diffusione del welfare aziendale nelle imprese di piccole e medie dimensioni vanno ricercate innanzitutto in ostacoli di natura burocratica (e normativa), lo è però altrettanto che anche nel segmento delle piccolo-medie imprese l’attenzione al tema cresce, a ritmi sostenuti e tanto in ampiezza quanto in intensità. Queste le rilevazioni emerse dall’ultimo Rapporto Welfare Index PMI

  • tra le imprese con meno di 10 addetti, la quota di aziende molto attive[1]è passata dal 6,8% del 2017 all’attuale 12,2%; 
  • nelle piccole imprese (10-50 addetti), dall’11% 2016 all’attuale 24,8%; 
  • nelle medie imprese (51-250 addetti), la diffusione è passata dal 20,8% del 2016 al 45,3%, con un aumento particolarmente significativo nel corso dell’ultimo anno. 

Le aziende di grandi dimensioni restano insomma avvantaggiate, con una quota di imprese molto attive pari al 71% e senza eguali negli altri segmenti, ma nelle PMI l’avanzata è stata veloce, e in questi tre anni la quota delle molto attive è più che raddoppiata. 

Ampiezza del welfare aziendale per classi dimensionali

Fonte: Rapporto Welfare Index PMI 2019 

Ancora molto ampio però anche il segmento di imprese in fase di sperimentazione iniziale, circa il 54% delle PMI, a concreta testimonianza del fatto che la barriera dimensionale resta comunque difficile da superare: le piccole e medie imprese faticano a dotarsi di una struttura in grado di attuare con efficienza piani di welfareaziendale, soffrendo spesso anche la mancanza di risorse dedicate nonché dotate delle competenze legislative e tecniche necessarie alla gestione delle diverse iniziative. 

Secondo ostacolo diffuso è del resto proprio quello dell’(in)formazione. Sempre il Welfare Index PMI rileva che solamente il 26,7% delle aziende ne ha conoscenza precisa sotto il profilo normativo, ed è quindi piuttosto logico ipotizzare che, in molti casi, anche gli stessi dipendenti non abbiano piena consapevolezza – o addirittura conoscenza -  degli strumenti a loro disposizione, persino quando le misure di welfare aziendale sono previste dal CCNL di riferimento. 

E lo è ancor di più di più all’interno di un quadro legislativo complessivo che, pur riconoscendo al welfare aziendale un valore sociale che si riflette indubbiamente anche nelle agevolazioni fiscali contenute nelle ultime Leggi di Bilancio (con la sola significativa eccezione di quella per il 2019), paga ancora lo scotto di una mancata “finalizzazione” dello strumento. Che vede coesistere, forse con troppa disinvoltura, prestazioni di natura sociale(previdenza complementare, assistenza sanitaria integrativa, etc), familiare (istruzione, vacanze studio estive per i figli, etc) o di sostegno alla professione stessa (trasporti, formazione, etc) e i più disparati servizi dedicati a benessere e tempo libero.

Conoscenza del welfare aziendale da parte delle imprese - Welfare Index PMI 2019

Fonte: Rapporto Welfare Index PMI 2019 

 

La "finalizzazione" del welfare aziendale 

Premesso infatti che incrementare ulteriormente le risorse destinate al sistema pubblico porrebbe il welfare italiano dinanzi a un enorme problema di sostenibilità, diventa innegabile che fare welfare in azienda non sia più solo un mezzo per fidelizzare il dipendente, rendere attrattivo il posto di lavoro e instaurare un clima positivo, ma è ormai anche e soprattutto una strumento per sostenere più o meno direttamente la crescita e lo sviluppo dell’intero Paese, immettendo nel sistema risorse e servizi aggiuntivi, complementari o supplementari rispetto a quelli offerti dalle pubbliche amministrazioni. 

A che punto sono allora le imprese se si va ad analizzare nel dettaglio alcuni degli ambiti principali nei quali il welfare aziendale può offrire un importante contributo al sistema pubblico di protezione sociale?

Per quanto riguarda le piccole e medie imprese aiuta nuovamente a farsi un’idea il Welfare Index PMI, il quale rileva come poco meno delle PMI indagate (il 46% circa) attua iniziative nell’area della salute e dell’assistenza: le iniziative più diffuse sono quelle di sanità completare, ambito nel quale (come prevedibile) l’adesione al fondo sanitario di categoria prevale su iniziative aziendali aggiuntive come polizze sanitarie o adesione a fondi aziendali e interaziendali. In crescita anche i servizi di prevenzione e cura (check-up, convenzione con studi dentistici, etc), mentre si confermano poco diffusi i servizi riguardanti l’assistenza a familiari non autosufficienti. Rappresentano invece più del 59% del campione le iniziative di conciliazione vita-lavoro, ambito nel quale le PMI sembrano prediligere soprattutto la flessibilità oraria, ma anche facilitazioni come il supporto nelle spese per il tragitto casa-lavoro o il servizio mensa. Tra le iniziative su cui le PMI rivelano di voler investire maggiormente negli anni a venire spiccano infine misure e buone pratiche a supporto della formazione dei lavoratori e della mobilità sociale dei più giovani: già in crescita d’altra parte le iniziative di formazione specialistica professionale per i dipendenti (39,2% nel 2019), tra le quali spiccano in particolar modo formazione tecnica, partecipazione a convegni, giornate studio e formazione linguistica. 

Per quanto riguarda invece le grandi aziende un quadro – e un raffronto -  piuttosto interessante viene ad esempio offerto dall’ultimo Osservatorio Easy Welfare, il cui campione d’indagine è invece composto solo per il 23% da piccole imprese: in questo caso, il conteggio delle richieste di beni e servizi per categorie di consumo mostra come circa il 40% di tutte le richieste effettuate nel corso del 2018 tramite i portali Easy Welfare riguardano beni in regime fringe, per un valore medio di circa 100 euro a richiesta. Con alcuni interessanti “paradossi”: le richieste di servizio (ex. art. 51) relative a rimborsi per assistenza familiari risultano da una parte essere le meno frequenti, rappresentando solo lo 0,3% delle richieste complessive, ma mostrano dall’altra l’importo medio per richiesta più elevato, pari a circa 640 euro. Seguono i versamenti per forme pensionistiche complementari (importo medio di circa 470 euro a richiesta) e rimborsi sanitari (430 euro). Nel complesso, dunque, la quota preponderante dei “consumi” riguarda proprio sanità, integrazioni previdenziali e istruzione, seppur con un calo piuttosto significativo rispetto all’anno precedente e imputabile in particolar modo alla diminuzione dei rimborsi sanitari. 

 

Il welfare aziendale come percorso virtuoso

Tutti dati che paiono suggerire come il sentiero che porta dalla teoria alla pratica sia ancora lungo, anche se il cammino è tutto sommato (ben) avviato.  

Concepito come “terza via” del welfare integrato, il welfare aziendale acquista allora un nuovo e più ampio significato, quello di innesco di un circolo virtuoso che, nel rafforzare la sostenibilità e il ruolo sociale dell’imprese, genera ricadute positive non solo per i dipendenti e le loro famiglie, ma anche al di fuori dei confini della comunità aziendale e del proprio territorio. E i lavoratori, nel frattempo, apprezzano, con conseguenze importanti per l’azienda stessa, che vede aumentare il proprio gradimento e nella maggior parte dei casi anche i propri risultati di business.

Mara Guarino, Itinerari Previdenziali

11/4/2019


[1]Per molto attive si intendono le aziende i cui piani di welfare aziendale coinvolgano almeno 6 delle seguenti aree: previdenza integrativa;  servizi di assistenza; conciliazione vita e lavoro; sostegno ai genitori; formazione per i dipendenti; cultura e tempo libero; sicurezza e prevenzione degli incidenti; sanità integrativa; polizze assicurative; sostegno economico ai dipendenti; sostegno all’istruzione di figli e familiari; sostegno ai soggetti deboli e integrazione sociale; welfare allargato alla comunità

 

 
 
 

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