Come incentivare adesioni e contributi alla previdenza complementare?

Seppure in crescita, la previdenza complementare italiana mostra ampi margini di miglioramento, soprattutto nel confronto internazionale. Anche alla luce delle sfide poste dall'invecchiamento della popolazione, tra i nodi da sciogliere per un maggiore sviluppo del sistema quelli relativi ad adesioni e capacità di contribuzione, necessaria a garantire prestazioni pensionistiche integrative adeguate

Bruno Bernasconi

La dinamica positiva registrata dai mercati finanziari nel 2024 si è riflessa anche sulle risorse accumulate dalle forme pensionistiche nelle principali economie mondiali, confermando il recupero iniziato nel 2023 che ha consentito di ripianare le perdite subite nel 2022 a causa della fiammata inflazionistica. Secondo i dati preliminari OCSE, lo scorso anno gli asset gestiti dai diversi piani pensionistici sono aumentati dell’8,5% a 61.500 miliardi di dollari, registrando però nel complesso un tasso di crescita inferiore rispetto all’economia nel triennio 2021-2024. Di conseguenza, la dimensione della previdenza complementare nell’area OCSE in rapporto al PIL è scesa al 92% dal 105% di fine 2021. Nel dettaglio, gli Stati Uniti rimangono il Paese con l’ammontare più elevato in termini di patrimonio, circa 43.000 miliardi di dollari pari al 70% del totale, mentre la Danimarca risulta prima nella classifica in rapporto al PIL con oltre il 200%. Vale però la pena sottolineare che nel calcolo dell’OCSE, oltre ai fondi pensione, vengono inclusi anche altri strumenti diffusi in alcuni Paesi, come le book reserves, le polizze assicurative con finalità pensionistiche e altri strumenti finanziari esplicitamente connotati da finalità previdenziali. 

 

La previdenza complementare italiana nel confronto internazionale

Nel complesso, il ruolo della previdenza complementare nei diversi Paesi assume un grado di rilevanza e sviluppo che può variare significativamente, specialmente in funzione dei meccanismi che regolano, da un lato, il mercato del lavoro e la fiscalità e, dall’altro, il sistema pensionistico pubblico: dove il peso di quest’ultimo è più limitato, il sistema privato è generalmente più sviluppato, mentre in Paesi in cui il primo pilastro pubblico ha una dimensione più rilevante (sia in termini di livelli di contribuzione sia di prestazioni pensionistiche offerte) la previdenza complementare è meno diffusa. È questo il caso dell’Italia, dove aliquote contributive tra le più alte dei Paesi OCSE (per i lavoratori dipendenti l’aliquota contributiva è pari al 33% rispetto a una media OCSE del 18,2%), unite a una scarsa cultura previdenziale e finanziaria, fanno sì che la diffusione di forme pensionistiche complementari sia ancora subottimale, seppure in crescita. In un contesto in cui invecchiamento della popolazione, elevati livelli di debito pubblico e alcune debolezze strutturali del mercato del lavoro (come, ad esempio, la scarsa crescita salariale, carriere discontinue ed elevati tassi di inattività) mettono sotto pressione il sistema pubblico, un maggiore sviluppo di un secondo pilastro appare sempre più una come una leva fondamentale per garantire la tenuta delle finanze statali e livelli di reddito adeguati in fase di quiescenza. 

In un confronto internazionale, l’Italia si posiziona al quindicesimo posto su 38 Paesi appartenenti all’area OCSE nella classifica per patrimonio dei fondi pensione, mentre scende al ventisettesimo posto in rapporto al PIL con l’11,7%,evidenziando come ci siano ancora ampi margini di sviluppo. 

Figura 1 – Il confronto internazionale per patrimonio dei fondi pensione in rapporto al PIL

Figura 1 – Il confronto internazionale per patrimonio dei fondi pensione in rapporto al PIL

Fonte: Elaborazione Itinerari Previdenziali su dati OCSE 2024 preliminari

 

Dalle criticità di sistema alle possibili leve per lo sviluppo della previdenza complementare italiana

In particolare, una delle maggiori criticità riguarda il nodo di come incentivare non solo l’adesione ma anche, e soprattutto, la contribuzione alla previdenza complementare al fine di garantire prestazioni pensionistiche integrative adeguate, soprattutto per le categorie più “fragili”. Come sottolineato anche dal Presidente COVIP Mario Pepe, «nel complesso, la partecipazione alla previdenza complementare risulta ancora caratterizzata da un netto dualismo. Continuano a prevalere le adesioni di lavoratori “forti”, occupati nelle regioni settentrionali o centrali, di genere maschile e di età matura. Resta difficoltoso l’ingresso delle fasce più deboli di lavoratori, più giovani, di genere femminile e residenti nelle aree meridionali».

Tralasciando il tema degli iscritti non versanti (pari a circa il 28% del totale), tra i versanti la contribuzione media risulta essere di 2.890 euro con variazioni significative in base all’età, il genere e la regione di residenza, influenzando di conseguenza anche l’ammontare delle risorse accumulate. Nel complesso, l’88% degli iscritti versa contributi al di sotto del limite di deducibilità fiscale di 5.164 euro, di cui circa il 60% versa meno di 1.000 euro. Il capitale medio pro capite si attesta a 24.330 euro, con importi tendenzialmente più elevati all’avvicinarsi del momento della prestazione. Tuttavia, la posizione individuale accumulata in media dalle fasce più prossime alla pensione si attesta comunque su importi piuttosto modesti e non tali da consentire una significativa integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio, facendo quindi venir meno la finalità principale della previdenza complementare. Tra i 60 e i 64 anni la posizione individuale media è di circa 28.800 euro nei fondi negoziali, 29.400 nei fondi aperti e 20.300 euro nei PIP; solo per i fondi preesistenti assume importi più consistenti, in media pari a 173.900 euro. A livello generale, il 3,5% del totale degli iscritti ha una posizione individuale nulla, il 21,9% ha una posizione inferiore a 1.000 euro, il 29,4% tra 1.000 e 10.000 euro e un altro 21,8% tra 10.000 e 30.000 euro; solo il 4,5% supera 100.000 euro.

Figura 2 – Iscritti totali alle diverse forme pensionistiche complementari per classi di posizione accumulata

Figura 2 – Iscritti totali alle diverse forme pensionistiche complementari per classi di posizione accumulata

Fonte: Relazione COVIP 2024

Altra variabile determinante per l’entità del proprio montante contributivo è poi ovviamente il rendimento, che a sua volta dipende dalla tipologia di linea di investimento scelta dall’aderente. Una maggiore esposizione all’equity consente generalmente di ottenere maggiori ritorni soprattutto su orizzonti temporali di più lungo periodo, ossia quelli che caratterizzano il risparmio previdenziale, che permettono altresì di sopportare un maggior grado di rischio. Tuttavia, tra gli aderenti restano predominanti i profili con una quota azionaria bassa o addirittura nulla, sebbene negli ultimi anni si stia assistendo a una progressiva riduzione del peso delle linee garantite a favore di profili più rischiosi soprattutto tra i più giovani. 

Appare evidente, dunque, come sia necessario dare nuovo impulso al secondo pilastro pensionistico e anche a livello internazionale, alla luce delle preoccupazioni legate ai trend demografici, diversi paesi intendono riformare il sistema previdenziale privato attraverso interventi volti a favorire una maggiore partecipazione con l’introduzione di meccanismi di adesione automatica. 

 

Proposte per il rilancio dei fondi pensione italiani 

In Italia, sono da tempo sul tavolo diverse proposte finalizzate a rilanciare la previdenza complementare, tramite iniziative lungo tre principali filoni: incentivare le adesioni, aumentare la contribuzione degli iscritti, mettere a punto nuove regole su fiscalità e investimenti dei fondi pensione. La COVIP, in particolare, ha anche di recente sottolineato come sia auspicabile l’introduzione di meccanismi che rendano più automatica la partecipazione, come nuovi semestri di silenzio-assenso e/o l’iscrizione automatica (con possibilità di ripensamento) in cui l’aderente venga guidato verso soluzioni adeguate rispetto alle sue esigenze e caratteristiche. Per ovviare al problema dell’allocazione subottimale degli investimenti dei portafogli previdenziali una soluzione, in linea alle best practice internazionali e alle raccomandazioni OCSE, è invece rappresentata dall’individuazione a livello normativo come scelta di default di una linea risultante dall’utilizzo di un modello life-cycle, in cui l’iscritto viene collocato nei diversi comparti in maniera dinamica, con l’obiettivo di ottimizzarne il profilo rischio-rendimento seguendo le fasi del ciclo di vita.

A ciò si aggiunge la necessità di implementare misure finalizzate a migliorare la capacità contributiva, soprattutto di coloro che si trovano in una situazione lavorativa o reddituale precaria e che, quindi, necessiterebbero ancora di più di una tutela integrativa in fase di quiescenza. I dati mostrano infatti come i versamenti medi annui siano ancora tendenzialmente modesti, risultando in posizioni individuali poco capienti e, in ultima analisi, limitando la crescita del patrimonio complessivo dei fondi pensione. Alcune proposte a riguardo, indirizzate soprattutto a giovani e in casi di carriere discontinue, suggeriscono la possibilità di prevedere una sorta di bonus all’ingresso, trasformando la deducibilità dei contributi nei primi anni di partecipazione al fondo pensione, e quella di riportare negli anni successivi le deduzioni fiscali di cui non si è beneficiato, similmente a quanto già previsto per i lavoratori di prima occupazione.

Infine, come più volte evidenziato anche dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, urge un ripensamento per quanto riguarda la fase di erogazione delle prestazioni. La normativa vigente prevede l’obbligo di conversione in rendita vitalizia di almeno il 50% della posizione individuale, a meno che la rendita derivante dalla conversione di almeno il 70% del montante finale sia inferiore al 50% dell’assegno sociale dell’anno, nel qual caso il fondo pensione può essere erogato al 100% in forma capitale. L’attuale sistema rende però poco attrattiva la scelta della rendita, come dimostra anche la netta preferenza degli iscritti per la prestazione in forma di capitale: nel 2024, infatti, il numero di posizioni trasformate in rendita continua a risultare modesto e pari a 4.000 contro 164.600 prestazioni in capitale. Tra le soluzioni suggerite figura la possibilità (come previsto originariamente nel D.Lgs. 252/05) di consentite altre opzioni di pay-out che consentano all’iscritto di effettuare, a fronte del mantenimento del montante maturato nel fondo, prelievi parziali successivi, continuando così a beneficiare dei risultati della gestione delle risorse e, di fatto, aumentando l’orizzonte temporale dell’investimento dell’iscritto. Da ultimo, in caso di premorienza, il capitale non ancora prelevato rimarrebbe a beneficio degli aventi diritto, che non correrebbero dunque il rischio di perdere le risorse accumulate nel tempo. 

Bruno Bernasconi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

14/7/2025

 
 
 

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