Il risparmio previdenziale tra possibili incentivi e innovazioni

Il Ministro Giorgetti ha recentemente richiamato all'attenzione l'importanza del risparmio previdenziale e la necessità di rafforzare il sistema della previdenza complementare: alcune delle proposte in campo tra destinazione del TFR, scelta del comparto di investimento e revisione del sistema delle rendite

Michaela Camilleri

In occasione della conferenza di apertura del Salone del Risparmio 2025, il Ministro Giorgetti ha richiamato all’attenzione l’importanza del risparmio previdenziale, sostenendo che "se guardiamo al sistema pensionistico in prospettiva, è evidente che sarà sempre più essenziale il ruolo della previdenza complementare. Negli ultimi anni l'adesione a tali forme è cresciuta costantemente. Ma, nonostante un trattamento fiscale di favore, non ha ancora raggiunto i livelli degli altri Paesi".

Il Pension Markets in Focus 2024 dell’OCSE pone infatti l’Italia al 15esimo posto su 38 Paesi per patrimonio dei fondi pensione, preceduta da USA, Canada, UK, Australia, Paesi Bassi, Svizzera e Giappone. Siamo certamente lontani dal Government Pension Investment del Giappone o dal Government Pension Fund della Norvegia che nel 2023 hanno raggiunto rispettivamente un patrimonio di 1,449 e 1,300 trilioni di dollari, ma con quasi 250 miliardi di patrimonio i nostri fondi pensione iniziano ad avere una buona capitalizzazione e a essere un mercato interessante, anche per l’entità della contribuzione che nell’anno in questione è stata pari a 19,178 miliardi, pari a quasi 1 punto di PIL. Nella classifica OCSE per patrimonio dei fondi pensione rispetto al PIL l’Italia si posiziona al 25esimo posto con un rapporto che, nel 2023, si è attestato all’11,2%. Nel confronto internazionale non si può però non ricordare come questa situazione dipenda inevitabilmente dal grado di sviluppo del sistema obbligatorio di base, molto elevato nel nostro Paese (con aliquote contributive elevate e buoni tassi di sostituzione) e poco in altri in cui il secondo pilastro viene di fatto reso obbligatorio o semi obbligatorio (ad esempio, Danimarca, Svizzera, etc.).

Figura 1 – Il patrimonio dei fondi pensione in rapporto al PIL nei Paesi OCSE nel 2023 

Figura 1 – Il patrimonio dei fondi pensione in rapporto al PIL nei Paesi OCSE nel 2023

Fonte: elaborazioni Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali su dati OCSE

Stando agli ultimi dati COVIP aggiornati a fine 2024, il sistema della previdenza complementare in Italia è arrivato a contare 9,950 milioni di iscritti e 243 miliardi di euro di patrimonio. Le risorse destinate alle prestazioni si ripartiscono tra fondi negoziali con 74,6 miliardi, fondi aperti con 37,3 miliardi, PIP “nuovi” con 54,7 miliardi, fondi preesistenti a quota 69,4 e PIP “vecchi con 6,8 miliardi. Nel corso del 2024, fondi negoziali, fondi aperti e PIP hanno raccolto nel complesso 15,7 miliardi di euro (dati provvisori), mentre nel 2023 i già citati 19,2 miliardi di euro di contributi; di questi ultimi, circa il 40% riguardava quote di TFR per un totale di 7,8 miliardi (quasi il 50% se rapportati ai 15,8 miliardi di contributi versati dai lavoratori dipendenti).

Il TFR, dunque, oltre a rappresentare uno strumento vitale per le imprese, è determinante per l’afflusso di contributi al sistema della previdenza complementare. Motivo per cui, tra le varie ipotesi in campo per incentivare l’adesione si parla da tempo dell’introduzione di un nuovo semestre di silenzio-assenso, nonostante anche l’ultimo tentativo di inserire la proposta in Legge di Bilancio non sia andato a buon fine per mancanza di coperture finanziarie. Il ragionamento alla base della bocciatura sembra essere stato il seguente: se con il semestre di silenzio-assenso anche solo il 10% dei lavoratori occupati in aziende con più di 50 addetti avesse scelto di iscriversi a un fondo pensione, l’INPS avrebbe ricevuto il 10% in meno di entrate da TFR. Considerato che nel 2023 il flusso di TFR confluito all’INPS è ammontato a 6,1 miliardi, un 10% in meno avrebbe imposto una copertura finanziaria di 610 milioni. 

Complessivamente, dall’avvio della riforma della previdenza complementare nel 2007, quasi 100 miliardi di TFR sono confluiti nel Fondo di Tesoreria dell’INPS. TFR che, peraltro, a differenza di quanto avviene per le risorse lasciate in azienda, non può essere recuperato: la legge prevede infatti la possibilità di destinare alla previdenza complementare anche il TFR pregresso, per le quote accantonate entro il 31 dicembre 2006 e la COVIP ha chiarito che il versamento del TFR pregresso è possibile anche con riferimento alla quota lasciata in azienda dopo l'1 gennaio 2007, a patto che il lavoratore e il datore di lavoro siano d'accordo. Tuttavia, nel caso in cui il TFR pregresso sia rimasto giacente presso il Fondo di Tesoreria dell’INPS, tutto ciò non è possibile. Ovviamente, questa posizione crea una forte discriminazione tra i lavoratori di aziende con 50 o più addetti e quelli di aziende con meno di 50 addetti. Per non sottrarre risorse all’INPS, seppure l’impostazione della norma e le motivazioni alla base delle mancate coperture siano discutibili, si potrebbe pensare di lasciare al Fondo di Tesoreria le somme finora versate, cancellando la distorsiva classificazione tra meno di 50 e più di 50 addetti, e riproporre un semestre di silenzio-assenso prevedendo però che i nuovi flussi di TFR, se non versati ai fondi pensione, restino quantomeno alle imprese. Così facendo si contribuirebbe maggiormente allo sviluppo della previdenza complementare e all’economia reale del Paese.

Incentivare la previdenza complementare non significa tuttavia solo agevolare le adesioni ma anche la contribuzione, che deve essere indirizzata verso il comparto di investimento più coerente con il profilo dell’iscritto. Come evidenziato dalla Presidente f.f. della COVIP, Francesca Balzani, nel corso dell’Audizione in Commissione Bicamerale di controllo, le risorse investite nelle linee azionarie ricevono una parte minoritaria, pari a fine 2023 a 20,1 miliardi di euro, rispetto a quelle disponibili (fondi preesistenti esclusi), pari in totale a 151,2 miliardi. E le ragioni sono molteplici. Innanzitutto, nelle scelte operate dagli iscritti riguardo alle linee di investimento pesano certamente le preferenze individuali, in molti casi caratterizzate da una bassa tolleranza rispetto al rischio, e l’età più avanzata degli iscritti con posizioni di importo più elevato, per i quali quella di investire meno in azione può essere considerata una decisione razionale.  Al di là dei comportamenti individuali vi sono però fattori strutturali che hanno un ruolo rilevante, come il fatto che la cosiddetta linea di default, destinata agli aderenti che non esercitano una scelta, è per legge la linea garantita. Se questa linea, per i lavoratori più giovani, venisse sostituita con linee a contenuto azionario rilevante, in particolare di tipo life-cycle, si modificherebbe l’allocazione complessiva degli investimenti dei fondi pensione italiani e ciò avrebbe un impatto positivi in termini di risultati aggregati che, già oggi, risultano superiori per i comparti azionari.

Figura 2 – Rendimenti netti medi annui dei fondi pensione per linee di investimento a 10 anni

Figura 2 – Rendimenti netti medi annui dei fondi pensione per linee di investimento a 10 anni

Fonte: elaborazioni Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali su dati COVIP

Passate la fase di adesione e contribuzione? Restano margini di miglioramento per il sistema anche in fase di erogazione della prestazione finale. Come già evidenziato in altre occasioni, l’attuale scarso utilizzo della rendita può dipendere dal fatto che la soluzione “base” offerta dal fondo pensione è la rendita vitalizia immediata non reversibile che prevede il pagamento di una rendita all’aderente finché è in vita e si estingue al momento del decesso. Questa tipologia di prestazione ha, da un lato, il vantaggio di corrispondere all’aderente l’importo più elevato a partire dal montante convertito, ma dall’altro lo svantaggio di non garantire alcun tipo di protezione al beneficiario (o agli eredi) al quale non verrà destinato il montante residuo. È certamente possibile optare per una differente tipologia di rendita, reversibile o contro-assicurata, ma a un costo elevato. Motivo per cui prevedere opzioni di pay-out più ampie può rappresentare un’ulteriore forma di incentivazione alla previdenza complementare.

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

22/4/2025

 
 
 

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