Il TFR "conteso": proposte per lo sviluppo della previdenza complementare
Dal 2007 a oggi, su circa 445 miliardi di TFR maturati solo il 23,8% è stato destinato alla previdenza complementare. Una percentuale sulla quale incidono significativamente le modifiche relative a modalità di conferimento e gestione del Trattamento di Fine Rapporto apportate dalla legge n. 296/2006
Ancora di più in un Paese come lItalia, alle prese con le pressioni esercitate sia dallinvecchiamento della popolazione sia da un debito pubblico che vale oltre 3.000 miliardi di euro, lo sviluppo della previdenza complementare è essenziale: per garantire ai lavoratori prestazioni adeguate al momento della quiescenza e per tutelare la sostenibilità del sistema previdenziale. Obiettivi per il momento solo parzialmente raggiunti dalla previdenza complementare italiana, che vede sì crescere il numero di iscritti e le risorse gestite ma a dei ritmi ancora piuttosto modesti, tanto che a fine 2024 le 291 forme pensionistiche complementari contavano 9,953 milioni di iscritti, a fronte dei circa 17 milioni delle forme sanitarie integrative, di istituzione più recente; guardando ai soli aderenti attivi, cioè coloro che effettivamente alimentano la posizione con dei versamenti, si arriva solo a poco più di 7 milioni di soggetti, in gran parte appartenenti a imprese medio-grandi. Malgrado quasi 250 miliardi di patrimonio e un mercato che inizia quindi a potersi dire di spessore, nella classifica che rapporta il patrimonio dei fondi pensione al PIL, lItalia si posiziona al 27esimo posto tra i Paesi di area OCSE, con una percentuale pari all11,7%.
Alla luce di questi dati, come favorire un maggiore sviluppo dei nostri fondi pensione? Questa la domanda che ha animato lultimo Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate realizzato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali con il sostegno di Arca Fondi SGR: presentato questo pomeriggio alla Camera dei Deputati, nella cornice offerta dalla Sala del Refettorio di Palazzo San Macuto, lo studio I fondi pensione nella legislazione italiana: la sottrazione di capitale alleconomia reale e il diritto negato ai lavoratori delle PMIpropone alcuni interventi legislativi mirati a incrementare sia le adesioni sia gli investimenti con ricadute positive sul territorio nazionale. In particolare, nel ripercorrere la normativa di settore, il documento si concentra sulle attuali disposizioni relative al conferimento del TFR, evidenziando i limiti dellimpostazione che, in caso di mancata adesione alla previdenza complementare, ne prevede la destinazione, per le aziende con 50 e più dipendenti, al Fondo di Tesoreria dellINPS, così come disposto dalla legge n. 296/2006 di modifica del D. Lgs. 252/2005.
Il ruolo del TFR nel sistema previdenza complementare
Nel corso del 2024, fondi negoziali, fondi preesistenti, fondi aperti e PIP hanno raccolto nel complesso 20,5 miliardi di euro di flussi contributivi: di questi, circa il 42% ha riguardo quote di TFR per un totale di 8,6 miliardi (oltre il 50% se rapportati ai 17 miliardi di contributi versati dai lavoratori dipendenti, che costituiscono la quota più significativa di iscritti per condizione professionale). «Il Trattamento di Fine Rapporto, oltre a rappresentare uno strumento vitale per le imprese, è determinante per lafflusso di contributi al sistema della previdenza complementare», ha commentato durante la presentazione il Prof. Alberto Brambilla, ricordando che anche per questa ragione, tra le proposte per rafforzare i fondi pensione, ritorna spesso il silenzio-assenso già sperimentato con successo nel 2007. «Eppure, lultimo tentativo di inserire un semestre di silenzio-assenso in Legge di Bilancio ha precisato il Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali non è andato a buon fine, con il relativo emendamento bocciato dalla Ragioneria Generale dello Stato per mancanza di coperture finanziarie».
Premessa indispensabile a farsi è che la normativa attualmente in vigore prevede che il lavoratore dipendente disponga di diverse opzioni riguardo alla destinazione del proprio TFR maturando: mantenerlo in azienda o farlo confluire a una forma pensionistica complementare, con modalità esplicita oppure tacita (in questultimo caso, laddove il dipendente non esprima alcuna scelta sulla destinazione entro 6 mesi dalla prima assunzione, il TFR viene destinato alla forma integrativa prevista dalla normativa di riferimento). Sempre la legge 252/2005 esplicita inoltre la possibilità di destinare alla previdenza complementare anche il TFR pregresso, rispetto alla quale va però segnalata una significativa differenza riguardante la dimensione aziendale, non prevista dalla normativa originaria: se, infatti, il TFR delle imprese con meno di 50 dipendenti resta in azienda, per effetto della legge 296/2006 quello delle imprese con più di 50 addetti viene invece versato obbligatoriamente a partire dall1 gennaio 2007 al Fondo di Tesoreria INPS. Tanto che, mentre il cosiddetto TFR pregresso delle piccole-medie imprese può essere comunque destinato ai fondi pensione in presenza di un accordo tra datore di lavoro e dipendente, il destino del TFR dei lavoratori impiegati in aziende sopra i 50 addetti è stato rimesso nelle mani della stessa INPS che, con il messaggio n.413 del 2020, si è pronunciata negativamente circa la possibilità di utilizzare ai fini pensionistici quelle quote di TFR.
Il ruolo del TFR nel sistema produttivo
Una posizione che crea una forte discriminazione tra i lavoratori di aziende con più o meno di 50 addetti, e che rappresenta peraltro solo una delle tante storture introdotte dalla legge di modifica alla 252/2005. «Lassurdo sottolinea Alberto Brambilla, curatore del documento è che il TFR nei bilanci di tutte le imprese sta giustamente nelle passività, in quanto retribuzione differita e quindi allatto pratico debito dellazienda nei confronti del lavoratore, ma non è così per lINPS dove figura come entrata proprio per effetto della legge 296/2006 istitutiva del Fondo per lerogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui allarticolo 2120 del codice civile». Il che, come spiega il documento, ha contribuito in maniera significativa alla bocciatura del nuovo semestre di silenzio-assenso: se anche solo il 10% dei lavoratori occupati in aziende con più di 50 addetti avesse scelto di iscriversi a un fondo pensione, lINPS avrebbe ricevuto il 10% in meno di entrate da TFR. E poiché nel 2023 il flusso di TFR verso lINPS è ammontato a 6,3 miliardi, il provvedimento avrebbe richiesto una copertura finanziaria pari almeno alle mancate entrate, vale a dire 630 milioni di euro.
Non solo, la legge n. 296/2006 abolisce inoltre il fondo di garanzia per le PMI che, previsto sempre dal D. Lgs. 252/05, si poneva la finalità di finanziare il deflusso di TFR dalle imprese ai fondi pensione, favorendo così ladesione anche dei lavoratori delle micro e piccole imprese, per le quali il Trattamento di Fine Rapporto rappresenta una vitale fonte di finanziamento in tempi di forti restrizioni del credito. «Nella pratica - osserva il Professore questa norma ha, se non bloccato, fortemente ostacolato il conferimento del TFR da parte delle numerose PMI che costituiscono il tessuto produttivo italiano: ancora di più con i nuovi algoritmi di affidamento, le piccole aziende (sono oltre il 90% quelle tra 0 e 9 dipendenti) hanno evidenti difficoltà a ottenere credito da parte del sistema bancario». Il che ovviamente, in realtà poco strutturate e non sindacalizzate, dove spesso manca anche unadeguata formazione e informazione dei datori stessi sul welfare complementare, non è certo uno stimolo al conferimento alla previdenza complementare del Trattamento di Fine Rapporto, utilizzato come circolante interno dalle imprese. La posizione non è comunque migliore per le imprese oltre i 50 addetti che, dovendo per legge versare il TFR al Fondo di Tesoreria INPS, si vedono a propria volta sottratte risorse disponibili tanto più che, in caso di richieste da parte del lavoratore, è comunque lazienda ad anticipare il Trattamento al dipendente, con lIstituto che compenserà lesborso sottraendolo dai contributi che limpresa deve versare mensilmente.
Complessivamente, dallavvio della riforma nel 2007, su circa 445 miliardi di TFR, 234 miliardi (il 52,6% del totale) sono rimasti in aziende al di sotto dei 50 addetti; 105,2 miliardi (23,6%) sono confluiti nel Fondo di Tesoreria, mentre la parte destinata alla previdenza complementare è stata di 105,9 miliardi di euro, pari al 23,8% del totale. «Appare quindi chiaro che la modifica alloriginario testo del D. Lgs. 252/05, apportata dal governo Prodi chiosa il Professor Brambilla non ha solo ingessato il sistema creando disparità tra i lavoratori ma ha anche sottratto alleconomia reale domestica nellintero periodo, oltre 100 miliardi. Oggi usata come anticipazione di cassa in attesa dei trasferimenti in Legge di Bilancio dallo Stato allINPS, questa cifra enorme avrebbe potuto essere più proficuamente destinata a investimenti volti a migliorare la produttività italiana, molto bassa nel confronto con gli altri Paesi OCSE».
Figura 1 Le modalità di utilizzo del TFR generato dal sistema produttivo (importi in milioni di euro)
Fonte: elaborazioni ItinerariPrevidenziali su datiCOVIP
Le questioni aperte della previdenza complementare e le possibili soluzioni
Ecco perché il primo intervento auspicato dallOsservatorio riguarda proprio il ripristino delle disposizioni originariamente previste dalla legge 252/2005, vale a dire istituzione del fondo di garanzia ed eliminazione della distorsiva ripartizione tra imprese con più o meno di 50 addetti. Posta la necessità di lasciare al Fondo di Tesoreria le somme già versate fino al 2025, così da non aggravare le precarie condizioni del bilancio pubblico, entrambe le condizioni sono infatti ritenute necessarie per avviare nel 2026 un semestre di silenzio-assenso, con il TFR destinato a restare in azienda in caso di mancata adesione alla previdenza complementare. Daltro canto, possibile strada alternativa potrebbe essere un semestre di silenzio-assenso con auto-enrolment per i soli neoassunti che, non computati nelle entrate statali, non richiederebbero ulteriori coperture finanziarie. Come precisa il documento, «i semestri di silenzio-assenso sono fondamentali per aumentare informazione e conoscenza», ancora di più in un Paese dalla cultura finanziaria modesta, dove molti cittadini ad esempio non conoscono meccanismi di anticipo, rendimenti o fiscalità associati alluno o allaltro strumento*.
Non si tratta tuttavia dellunico intervento auspicabile nellottica di un maggiore sviluppo del secondo pilastro. Altro punto fondamentale è senza dubbio il regime fiscale, che vede limposta sui rendimenti maturati al 20%: non solo, i fondi pensione italiani sono lunica forma di risparmio europea tassata annualmente, scelta che poco si addice alla finalità previdenziale tutelata dalla stessa Costituzione. Di qui, la proposta di riportare laliquota all11% e di spostare la tassazione delle plusvalenze maturate al momento della prestazione finale. Ancora fermo invece ai 10 milioni di lire oggi pari a 5.164,57 euro il massimale di deducibilità delle somme versate al fondo (TFR escluso) nel corso della fase di accumulo, quantomeno da adeguare (parzialmente) allinflazione. Premessa poi la necessità di favorire il maggiore coinvolgimento di minori e soggetti fiscalmente a carico, prevedendo aumenti sulle agevolazioni per le quote versate ed estendendo ai parenti fino al terzo grado la possibilità di effettuare versamenti, lOsservatorio curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali si concentra sulla delicata questione della conversione del montante maturato in rendita pensionistica complementare.
Figura 2 Numero di rendite per le varie forme pensionistiche integrative
Fonte: elaborazioni Itinerari Previdenziali su dati COVIP
Anche nel 2024, il numero di posizioni trasformate in rendita è stato modesto, 4.000 contro 164.600 prestazioni in capitale: un trend che sembra vanificare lobiettivo istitutivo dei fondi pensione ma che, di fatto, segue quello delle polizze di ramo primo del settore assicurativo, dove circa il 94% degli iscritti riscatta la polizza in capitale. In considerazione dellinvecchiamento della popolazione e della sempre più stringente necessità di protezione anche in ottica Long Term Care, diventa allora essenziale per lintero sistema di welfare complementare un ripensamento dellattuale schema delle rendite, in favore di soluzioni più flessibili e meno onerose (a titolo esemplificativo, basti pensare che i coefficienti di trasformazione della previdenza complementare sono molto penalizzanti nel confronto con quelli offerti dal sistema pubblico). «Come si vede ha quindi concluso il Prof. Brambilla le questioni aperte che possono favorire sia un incremento del numero di aderenti sia lo sviluppo patrimoniale dei fondi pensione sono molte. Per risolverle, come lattuale sfida demografica imporrebbe, occorrono però lungimiranza e coraggio, come quello necessario a correggere le storture legate allintroduzione del Fondo di Tesoreria che, al momento, sottrae risorse sia alle imprese che ai lavoratori».
Mara Guarino, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
16/9/2025