Una mappa della previdenza italiana: il bilancio per singola Regione
Solo 9 delle 20 Regioni italiane presentano entrate contributive e uscite per prestazioni vicine a quel rapporto del 75% che può dirsi rappresentativo di un sistema vicino all'equilibrio: bene il Centro trainato dal Lazio e il Nord, con la sola eccezione di Piemonte e Liguria; pesanti i disavanzi del Mezzogiorno, che richiederebbe più investimenti e meno assistenza
In Italia si è sempre affrontato il tema del welfare (e vale lo stesso per politiche economiche o relative al mercato del lavoro) come se il nostro fosse un Paese omogeneo, con le stesse problematiche e opportunità, tanto che ogni volta che si è proceduto con riforme o interventi, ad esempio sul sistema pensionistico, lo si è fatto con un approccio identico su tutto il territorio. Uno scenario in realtà confutato dai dati e, in particolare, dal confronto tra le diverse macroaree condotto dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali; confronto che, come emerge anche dal Settimo Rapporto La Regionalizzazione del Bilancio Previdenziale italiano presentato il 7 novembre al CNEL, evidenzia in realtà pesanti disequilibri, soprattutto a sfavore delle Regioni meridionali.
La regionalizzazione del bilancio previdenziale per il 2021
Nel 2021 (ultimo anno di rilevazione al momento disponibile) il bilancio pensionistico/previdenziale del Paese inteso come differenziale delle entrate e uscite delle gestioni INPS privati, INPS ex INPDAP per i dipendenti pubblici e delle Casse di Previdenza dei liberi professionisti ha mostrato un disavanzo di 48,68 miliardi, in miglioramento rispetto ai 55,034 del 2014, anno di riferimento della precedente Regionalizzazione. Valore comunque consistente anche se, nei flussi di cassa presi a riferimento, non sono considerati i trasferimenti dallo Stato, attraverso la GIAS o da altri enti, a favore di prestazioni assistenziali o di sostegno alle famiglie, così come sono escluse eventuali contribuzioni figurative dovute ad agevolazioni e sgravi.
Nel dettaglio, le entrate totali sono ammontate a 200,3 miliardi, con un miglioramento del 12,23%, mentre le uscite sono state pari a 248,99 miliardi, in crescita del 6,6% rispetto al 2014. Guardando alla ripartizione per macroarea, si evidenzia la netta prevalenza del Nord, che vale oltre il 58% delle entrate e il 53% delle uscite; il Sud contribuisce per il 21% circa ma spende oltre il 26%, mentre il Centro presenta entrate contributive e uscite per prestazioni simili, intorno al 21%.
Figura 1 La ripartizione percentuale per macroaree di entrate e uscite
Fonte: Settimo Rapporto La Regionalizzazione del Bilancio Previdenziale italiano
A fronte di questi numeri, utile indicatore per capire se il sistema possa considerarsi vicino allequilibrio o meno è allora offerto dai tassi di copertura, che indicano per lappunto quanto i contributi versati riescano a coprire il costo delle prestazioni erogate:secondo il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, si avrebbe un equilibrio tra entrate e uscite se tutte le Regioni raggiungessero un valore pari al 75% e ripianassero cioè con entrate contributive almeno 3/4 delle uscite per prestazioni.
Una misura del gap tra Regioni: i tassi di copertura al 2021
Nel 2021, a livello nazionale, il tasso di copertura risulta pari all80,45%, in miglioramento rispetto alla rilevazione precedente (76,43%). Se la soglia del 75% è complessivamente superata, persistono però anche in questo caso gravi squilibri a livello territoriale. In particolare, tutte le regioni del Sud segnano livelli in crescita piuttosto bassi: la media è del 62,25%, con la Calabria che raggiunge un modesto 49,98%; poco meglio ma comunque sotto la media del Mezzogiorno anche Sicilia, Molise, Puglia e Basilicata (circa 60%).
Tabella 1 Bilancio previdenziale e tassi di copertura regionalizzati al 2021
Fonte: Settimo Rapporto La Regionalizzazione del Bilancio Previdenziale italiano
Fa segnare un 81,53% il Centro, mentre il Nord tocca quota 88,96%, con buone performance soprattutto per Trentino (unica Regione pienamente autosufficiente con il 103,1%), Lombardia (99,66%), Veneto (95,51%) Lazio (90%) ed Emilia-Romagna (87,39%).
Interessante, tuttavia, rimarcare come Piemonte e Liguria siano le uniche due regioni settentrionali posizionate,rispettivamente con il 72,92% e il 64,83%, al di sotto della soglia del 75%. In effetti, landamento dei tassi di copertura nel tempo lascia supporre come Nord e Centro possano aver risentito più del Sud delle modifiche strutturali della popolazione e, nello specifico, del suo progressivo invecchiamento. Tanto più che, nellultimo decennio, larea settentrionale è stata più interessata rispetto alle altre dalluscita dal lavoro dei cosiddetti baby boomer, lavoratori che nel periodo di maggiore sviluppo economico hanno avuto modo di realizzare carriere contributive lunghe e continue, spesso caratterizzate da retribuzioni sopra la media, che hanno dato a propria volta luogo a trattamenti previdenziali anchessi al di sopra della media per importo e durata, e in parecchi casi erogate già a partire da età anagrafiche relativamente basse (durate di prestazioni coerenti sotto il profilo attuariale non dovrebbero superare i 20-25 anni). Nello stesso tempo, va considerato in molte aree del Nord un impatto occupazionale negativo imputabile alla crisi industriale che ha colpito in modo piuttosto marcato soprattutto diverse zone del Piemonte e della Liguria, per quanto contraccolpi si siano fatti sentire anche lungo lasse industriale che attraversa la Lombardia con la chiusura di marchi storici nellelettromeccanica, nellavionica e nei settori tessili e delle macchine utensili.
Errori (del passato) da non ripetere e proposte per il futuro
Posta appunto quella del 75% come soglia-obiettivo, il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali individua quindi nellefficientamento di infrastrutture e politiche attive per il lavoro i primi pilastri di una serie di interventi mirati, nellarco di un decennio, a consentire a tutte le Regioni del Paese di raggiungere una maggiore autosufficienza dal punto di vista della capacità contributiva (sia fiscale sia previdenziale). Con il restante 25% affidato invece a un fondo di solidarietà nazionale.
Come sottolineato anche dal Prof. Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, nel corso dellevento di presentazione, «i risultati di bilancio fin qui evidenziati impongono infatti a politica e parti sociali di prendere coscienza di una situazione ormai troppo duratura per non essere analizzata con chiarezza, e senza alcun intento persecutorio o ideologico, al solo scopo di cercare risposte e soluzioni a un problema evidente, quello del gap tra Nord e Sud, evitando il ripetersi di errori del passato». Come, ad esempio, la decontribuzione al Sud, artefice di unoccupazione di sussistenza, di fatto dissolta, o trasformatasi in ampie sacche di lavoro sommerso, una volta vietati gli sgravi contributivi.
Linsufficiente sviluppo di alcune aree del Paese, e in particolare delle regioni meridionali, è stato infatti a lungo compensato da politiche assistenziali che, come ben dimostrano anche i trend di lungo periodo (di ben 42 lo storico preso in considerazione dal documento), hanno però sortito solo leffetto, opposto, di rallentarne ulteriormente la crescita. Tanto che gli sgravi contributi totali in vigore dagli anni Settanta sono stati considerati aiuto di Stato dalla Commissione Europea e, anche per questa ragione, progressivamente eliminati senza peraltro aver nel frattempo prodotto vantaggi competitivi. Ancora oggi, tuttavia, misure volte più a sussidiare che a dare sviluppo tendono a pesare sul nostro debito pubblico, favorendo peraltro, quella commistione tra previdenza e assistenza che penalizza il nostro Paese nel confronto con gli altri Paesi dellUnione Europea.
Mara Guarino, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
7/11/2023