Longevità e non autosufficienza: a che punto siamo?

È stato di recente completato l'iter di attuazione della Legge Delega sulla Non Autosufficienza: provvedimento che evidenzia una generale presa di coscienza circa i possibili effetti dell'invecchiamento nel nostro Paese. La strada per una gestione integrata di prestazioni e servizi a favore dei soggetti più fragili resta però ancora lunga

Mara Guarino

Secondo gli ultimi dati Eurostat riferiti al 2023, l’Italia è il Paese dell’Unione Europea con l’età mediana più alta in assoluto, pari a 48,4 anni: circa 17 in più di quelli registrati nel 1960, quando l’età mediana della nostra popolazione toccava invece quota 31,2. Seguono in questa particolare classifica il Portogallo (47 anni) e la Bulgaria (46,8 anni), che si confrontano con i 38,4 anni di Cipro che, viceversa, è il Paese UE contraddistinto dall’età mediana meno elevata in assoluto. 


La spinta della demografia

Dati nient’affatto sorprendenti che consentono semmai di fotografare da un altro punto di vista il conclamato trend di invecchiamento della nostra nazione, tra le più longeve in assoluto a livello europeo e mondiale. Al 2022, ultimo anno di rilevazione al momento disponibile, la speranza di vita alla nascita viene stimata da Istat in 82,6 anni, tanto che si ingrossano sensibilmente le fila degli over 65 italiani, che già nel 2050 potrebbero rappresentare il 34,5% del totale, a fronte dell’11,4% dei giovani fino a 14 anni di età. Si vive più a lungo, dunque, ma non meglio con l’aspettativa di vita alla nascita che si abbassa infatti fino a 60,1 anni qualora si consideri invece la speranza di vita in buona salute. Di qui la pressione sulle spalle del legislatore, chiamato a riflettere su come gestire le possibili conseguenze di un fenomeno il quale, a propria volta, si incrocia con gli effetti di alcuni importanti cambiamenti sociali: su tutti, l’atomizzazione dei nuclei familiari che, da qui al 2050, potrebbero in più di 1 caso su 3 essere costituiti da un unico componente. 

Come gestire allora un numero sempre più elevato di soggetti soli e potenzialmente ritrovatisi a fronteggiare patologie croniche e/o invalidanti, così come altre possibili condizioni di vulnerabilità? Già oggi, del resto, le stime raccontano di circa 3,860 milioni di anziani non autosufficienti, non in grado cioè di svolgere in autonomia alcune delle più basilari funzioni di vita quotidiana, come vestirsi, camminare o lavarsi. 


Il punto sulla legislazione in materia di non autosufficienza

Cogliendo proprio le sollecitazioni in arrivo dalla demografia, a circa un anno di distanza dalla Legge Delega 33 sulla Non Autosufficienza, lo scorso 11 marzo il governo Meloni ha approvato il decreto legislativo di attuazione degli articoli ancora mancanti, portando così in linea teorica a compimento il progetto di riforma inserito tra gli obiettivi del PNRR dall’esecutivo di Mario Draghi, che al tema aveva dedicato il proprio ultimo Consiglio dei Ministri.Finalità complessiva dei provvedimenti è quella di favorire da una parte l’invecchiamento attivo e, dall’altra, inclusione sociale, assistenza e cura delle persone delle persone anziane, anche e soprattutto quando fragili e/o non autosufficienti. Obiettivo centrato? Non esattamente secondo il Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza, coalizione di circa 60 soggetti della società civile che, dal luglio 2021, dialoga con le istituzioni italiane attraverso proposte concrete nate proprio dall’esperienza di contatto diretto con gli operatori del settore attivi nel nostro Paese. Malgrado una riforma attesa da circa vent’anni e indispensabile per allineare l’Italia ai principali Stati dell’Unione Europea, il decreto legislativo - arrivato alla conclusione di un iter piuttosto lungo e travagliato – sembrerebbe in effetti rispettare solo in parte le buone premesse gettate nel 2023. 

Doveroso a questo punto fare un passo indietro. Il 21 marzo del 2023 la Legge Delega 33 ha previsto la costruzione di un sistema di welfare integrato specificatamente dedicato all’assistenza degli anziani. Nel dettaglio, il provvedimento prevedeva – oltre una definizione condivisa, fino a quel punto non così scontata, di popolazione anziana non autosufficiente – la creazione di un Sistema Nazionale di Assistenza agli Anziani Non Autosufficienti (SNAA) che, sotto la guida coordinata dei Ministeri competenti, provvedesse a una gestione congiunta sotto il profilo sociale e sanitario dei soggetti bisognosi di cura. Attività al momento per lo più demandata al welfare familiare cui si sarebbero dunque dovuti affiancare  con maggiore vigore una serie di servizi domiciliari specifici, di durata ed entità variabili sulla base delle effettive esigenze del singolo, così come oggettivamente definite da un’apposita scala di valutazione. Una direzione, quella dell’approccio integrato, abbracciata anche da un’altra delle novità previste, vale a dire la trasformazione dell’indennità di accompagnamento in una Prestazione Universale per la Non Autosufficienza,di importo variabile a seconda delle necessità di assistenza di ciascun individuo e caratterizzata oltretutto anche dalla possibilità di abbinare all’erogazione monetaria eventuali servizi alla persona. 

E se la questione della definizione ha poi davvero trovato risposta nei decreti attuativi, lo stesso non si può dire ad esempio proprio per la nuova prestazione universale, della quale è stata invece limitata la portata in fase di attuazione. La misura, che si fa sperimentale per il biennio 2025-2026, non va più a sostituire bensì ad affiancare e integrare l’indennità di accompagnamento,interessando tuttavia solo una platea limitata di soggetti non autosufficienti, vale a dire persone di almeno 80 anni di età, con un livello di bisogno assistenziale e gravissimo e un ISEE pari o inferiore ai 6.000 euro. Non solo, poiché la finalità ultima diviene quella puramente economica di remunerare il costo del lavoro di cura svolto da badanti o altri collaboratori (regolari), l’importo dell’integrazione si fa fisso e pari a un massimo di 850 euro mensili. D’altro canto, anche il miglioramento dell’assistenza domiciliare è forse uno dei punti più toccati (“al ribasso”) dal passaggio dalla Legge Delega ai decreti attuativi: mentre persiste almeno sulla carta l’aspetto focale dell’integrazione tra servizi sociali e sanitari, decade quello della loro “personalizzazione”, tanto che scompare del tutto il riferimento a prestazioni di durata e intensità adeguate. 


Un'occasione colta oppure mancata?

Per quanto risultino comprensibili i giudizi severi di molti addetti ai lavori, va detto che l’occasione non pare in verità sprecata per quanto un’autentica riforma per la non autosufficienza è forse rimandata a un futuro auspicabilmente non troppo lontano vista anche l’inesorabilità delle tendenze demografiche in corso. Se è infatti vero che l’esecutivo capitanato da Giorgia Meloni non ha portato del tutto a compimento quanto in origine previsto dal DL Anziani, lo è altrettanto che gli ultimi provvedimenti legislativi lasciano ampi spazi di intervento, demandando il compito di completare l’opera a ulteriori misure e decreti successivi. Come, ad esempio, nel caso dell’assistenza residenziale e semi-residenziale, chiamata a un importante salto di qualità tanto nel numero (e nella distribuzione territoriale) delle strutture sia, come originariamente previsto nel 2023, in termini di livello dei servizi offerti.  

La strada insomma è ancora lunga ma, se non altro, va riconosciuto il merito alla nostra classe dirigente di aver mosso i primi timidi passi in un campo determinante per il benessere futuro del nostro Paese, la gestione del progressivo scivolamento della popolazione italiana verso le età senili. Meglio forse il progetto iniziale della sua attuale realizzazione pratica che, con molta probabilità anche a causa di un’allocazione di risorse relativamente contenuta (300 i milioni di euro destinati alla prestazione unica universale nel 2025; 200 quelli stanziati per il 2024), con difficoltà si tradurrà nell’immediato in un’offerta più capillare di prestazioni e servizi integrati a supporto della non autosufficienza e, di riflesso, in un alleggerimento della pressione che grava sulle famiglie dei più fragili. E mentre il legislatore non può permettersi di stare a guardare, dati sui conti pubblici e sulla spesa per protezione sociale alla mano, un importante aiuto potrebbe nel frattempo arrivare dalla promozione di sinergie con il welfare complementare e, in particolare, da una maggiore diffusione di coperture di Long Term Care.

Mara Guarino, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

3/4/2024 

 
 

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