Demografia e sostenibilità: un connubio possibile?

Secondo le Nazioni Unite, la popolazione mondiale continuerà a crescere per i prossimi 60 anni, raggiungendo il picco di 10,3 miliardi nel 2084, per poi rallentare gradualmente entro la fine del secolo. Tuttavia, se in alcuni Paesi il picco è già stato raggiunto, in altri la popolazione è destinata ad aumentare ulteriormente. In un mondo che si preoccupa solo di decrescita, questo incremento è sostenibile?

Michaela Camilleri

Lo scorso luglio le Nazioni Unite hanno rivisto al ribasso le previsioni di crescita della popolazione mondiale, riducendo la stima per il 2100 del 6% rispetto a quanto definito nel 2013 (-700 milioni di persone). Il picco previsto è stato anticipato a causa di diversi fattori, tra cui i livelli di fertilità osservati negli ultimi anni inferiori alle attese in alcuni dei Paesi più grandi del mondo, in particolare in Cina, e la diminuzione più rapida del previsto in alcune parti dell’Africa Sub-sahariana. Secondo quanto riportato nell’ultimo Rapporto “World Population Prospects 2024”, dunque, dagli 8,2 miliardi di metà 2024 si continuerà a crescere per i prossimi 50-60 anni, raggiungendo il picco di 10,3 miliardi nel 2084, per poi decrescere fino a 10,2 miliardi entro la fine del secolo

Figura 1 – Popolazione mondiale all'1 gennaio in miliardi

Figura 1 – Popolazione mondiale all'1 gennaio in miliardi

Fonte: Elaborazioni Itinerari Previdenziali su dati UN, World Population Prospects 2024

Tuttavia, i cambiamenti nella popolazione globale non sono uniformi e i diversi Paesi del mondo si trovano ad affrontare la transizione demografica in maniera molto differente, con una rapida crescita della popolazione in alcuni luoghi e un rapido invecchiamento in altri. Nel 2024, la dimensione della popolazione ha già raggiunto il picco in 63 Paesi, che rappresentano il 28% della popolazione totale, tra cui l’Italia, la Cina, la Russia, il Giappone e la Germania, e si prevede una riduzione del 14% nei prossimi trent’anni. Anche l’età media della popolazione sta aumentando e le Nazioni Unite stimano che entro la fine del 2070 il numero di persone di 65 anni o più supererà quello dei minori di 18 anni. Ciò è in parte dovuto all’aumento generale dell’aspettativa di vita e alla diminuzione dei tassi di mortalità negli ultimi tre decenni. 

Mentre il rallentamento e la riduzione della popolazione si stanno verificando principalmente nei Paesi ad alto reddito, una rapida crescita della popolazione caratterizzerà invece i Paesi a basso e medio reddito. In particolare, in 126 Paesi gli abitanti aumenteranno del 38% nei prossimi 30 anni e il picco sarà raggiunto nella seconda metà del secolo o più avanti. Fanno parte di questo gruppo i Paesi più popolosi del mondo come l’India, l’Indonesia e la Nigeria, ma anche l’Australia, il Canada e gli Stati Uniti per gli effetti dell’immigrazione. In Paesi come l’Angola, la Repubblica Centrafricana, la Repubblica Democratica del Congo, il Niger e la Somalia, la popolazione crescerà esponenzialmente, andando a raddoppiare tra il 2024 e il 2054. A causa di questo rapido incremento, la classifica dei Paesi più popolosi del mondo probabilmente cambierà, con il Pakistan, la Nigeria e la Repubblica Democratica del Congo che supereranno gli Stati Uniti d’America e la Repubblica Unita della Tanzania che probabilmente si aggiungerà alla classifica dei primi dieci entro la fine del secolo.

Figura 2 - Classifica dei 10 Paesi più popolosi al mondo nel 2024, 2054 e 2100 (popolazione totale in milioni)

Figura 2 - Classifica dei 10 Paesi più popolosi al mondo nel 2024, 2054 e 2100 (popolazione totale in milioni)

Fonte: World Population Prospects 2024, UN

Per molti Paesi una crescita demografica così rapida potrebbe rappresentare una seria sfida per uno sviluppo sostenibile, amplificando la portata degli investimenti e degli sforzi necessari da parte della comunità internazionale per ridurre la povertà, contrastare la malnutrizione e garantire l’accesso universale all’assistenza sanitaria, all’istruzione e ad altri servizi essenziali in luoghi caratterizzati già oggi da difficoltà economiche, sociali e ambientali. Soprattutto nell’Africa Subsahariana e nell’Asia meridionale, l’aumento di domanda di risorse (cibo, infrastrutture, servizi, ecc.) e standard di vita più elevati andranno a peggiorare gli impatti ambientali

Solo per fare un esempio, l’Air Quality Life Index definito da un gruppo di ricercatori dell’Università di Chicago stabilisce che già oggi l’inquinamento atmosferico riduce la vita di un residente di Nuova Delhi di circa 8 anni; inoltre, la qualità dell’aria ha un impatto molto forte sulle capacità di apprendimento dei bambini sia contribuendo alla malnutrizione sia riducendone le capacità di apprendimento e di concentrazione (oltre ai giorni di scuola persi a causa delle chiusure dovute ad eccessivi livelli di inquinamento). Secondo il World Air Quality Report 2023 dell'organizzazione svizzera IQAir, New Delhi si riconferma per la quarta volta dal 2018 la capitale più inquinata del mondo e l’India risulta il terzo Paese per livello di inquinamento dopo Pakistan e Bangladesh. In un mondo che si preoccupa solo di declino e decrescita, queste previsioni di crescita sono sostenibili da un punto di vista ambientale e sociale? 

 

Le previsioni demografiche per l’Italia

Come noto, l’Italia fa parte del gruppo di Paesi che hanno già raggiunto il picco in termini di dimensione della popolazione ed è entrata nella fase di discesa. Le ultime previsioni demografiche Istat confermano che difficilmente sarà possibile invertire la rotta, seppur con elementi di incertezza. Le linee di tendenza sono chiare: la popolazione residente si ridurrà dai 59 milioni all'1 gennaio 2023 a 54,8 milioni nel 2050; la popolazione invecchia e la fecondità si riduce, con un rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 anni) che passerà da circa 3 a 2 nel 2022 a circa uno a 1 nel 2050; la composizione delle famiglie si modifica, meno coppie con figli e più coppie senza, entro il 2043 meno di una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, più di 1 su 5 non ne avrà.

E i comportamenti futuri non annulleranno le tendenze in atto. Le previsioni aggiornate al 2023 evidenziano che nello scenario più attendibile, quello mediano, il volto della popolazione muta radicalmente, e non solo per una questione dovuta all’estensione dell’orizzonte previsivo. In che misura possa accadere tale trasformazione dipende sì dall’incertezza associata alle varie ipotesi sul futuro comportamento demografico, ma non fino al punto di riportare in equilibrio la situazione attuale.

Stabilmente sul podio mondiale dell’invecchiamento, oggi l’Italia presenta una struttura della popolazione per fasce d’età così articolata: il 12,4% ha fino a 14 anni di età; il 63,6% tra 15 e 64 anni; il 24% dai 65 anni di età in su. Le prospettive future comportano un’amplificazione di tale processo, che – come spiegato nel Report dell’Istituto – è governato più dall’attuale articolazione per età della popolazione che dai cambiamenti ipotizzati circa l’evoluzione della fecondità, della mortalità e delle dinamiche migratorie, in base a un rapporto di importanza, all’incirca, di 2/3 e 1/3 rispettivamente. Nel 2050 gli over 65 potrebbero rappresentare il 34,5% del totale e i giovani fino a 14 anni di età l’11,2%, registrando una moderata flessione in senso relativo ma non in assoluto. Infatti, a contribuire alla crescita assoluta e relativa della popolazione anziana concorrerà soprattutto il transito delle folte generazioni degli anni del baby boom (nati negli anni Sessanta e prima metà dei Settanta) tra le età adulte e senili, con concomitante riduzione della popolazione in età lavorativa. Nei prossimi trent’anni, infatti, la popolazione di 15-64 anni scenderebbe al 54,3%. 

Figura 3 - Struttura della popolazione per fasce d’età

Figura 3 - Struttura della popolazione per fasce d’età

Fonte: elaborazioni su dati Istat, Previsioni della popolazione - Anni 2023 - 2080

Non cambia solo la struttura per età della popolazione ma anche la composizione delle famiglie: nel giro di venti anni si prevede un aumento di oltre 900mila famiglie, da 26 milioni nel 2023 a 26,9 milioni nel 2043, nuclei che saranno sempre più piccoli, con un numero medio di componenti che scenderà da 2,25 persone nel 2023 a 2,08. Il concetto di famiglia suggerisce la presenza di almeno due persone, ma in realtà la quota di soggetti che vivono soli crescerà del 15%, facendo aumentare il suo contingente da 9,3 a 10,7 milioni nel giro di venti anni. Peraltro, gran parte dell’aumento del numero complessivo di famiglie è dovuto proprio alla crescita delle persone sole, soprattutto over 65 donne che già nel 2023 ammontano a 3,1 milioni e entro il 2043 diventeranno 4,3 milioni, con una crescita del 38%.

Se, da un lato, l’invecchiamento della popolazione, con l’aumento dell’aspettativa di vita, genera un maggior numero di persone sole, dall’altro, il prolungato calo della natalità incrementa la consistenza delle coppie senza figli (da 5,3 a 5,9 milioni, con un incremento dell’11% e una quota sul totale che salirà dal 20,3 al 21,8%), mentre l’instabilità coniugale determina un numero crescente di genitori soli (dal 10,4% del totale delle famiglie nel 2023 all’11,1% nel 2043). L’Istat prevede infatti una sostanziale diminuzione delle coppie con figli: oggi quasi 3 famiglie su 10 hanno figli (29,8%), nel 2043 potrebbero scendere a meno di 1/4 del totale delle famiglie (23%).

Tutti fenomeni che comporteranno un mutamento di ruoli in famiglia e avranno un forte impatto sugli stili di vita e che, nel caso italiano a differenza di altri Paesi del mondo, devono far riflettere in particolar modo sulla sostenibilità sociale dell’invecchiamentoda interpretare non solo in chiave “negativa”, come maggior costo in termini di maggiore spesa per la collettività per la protezione sociale, ma anche e soprattutto come opportunità. La bussola per questa grande traversata non può allora essere quella di attrezzarsi nel lasso di tempo che la demografia concede.

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

9/10/2024

 
 

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