La pandemia è alle spalle: la transizione demografica nuova priorità

Il Rapporto Annuale Istat 2023 "La situazione del Paese" mostra come le ripercussioni, almeno sul fronte macroeconomico, della pandemia sono ormai alle spalle. Superato COVID-19, è giunto ora il momento di pensare e affrontare seriamente la transizione demografica (e quella ambientale)

Lorenzo Vaiani

Le conseguenze economiche legate alla pandemia sono ormai definitivamente alle nostre spalle, come dimostra la variazione del PIL, espressa in numero indice, tra il Q4 del 2019 (=100) e il Q1 2023.

Se inizialmente l’Italia era stata tra gli Stati maggiormente colpiti anche da un punto di vista economico, a causa dell’adozione di importanti misure di anti-COVID, facendo registrare un’importante flessione, seguita sì dal classico effetto a V ma che comunque aveva visto il Paese faticare almeno fino alla metà del 2021, con l’inizio del 2022 il PIL era tornato ai livelli pre-pandemici per poi crescere ulteriormente, fino ad arrivare a quota circa 103,5 nel primo trimestre del 2023. La dinamica registrata negli ultimi 18 mesi mostra chiaramente come l’Italia sia stata la meglio performante, staccando già a metà dello scorso anno le altre tre principali economie.

Figura 1, Andamento del PIL nelle maggiori economie dell’UE27,
IV trim. 2019 - I trim. 2023 (numeri indice, T4-2019=100, dati destagionalizzati)

Figura 1, Andamento del PIL nelle maggiori economie dell’Ue27 (numeri indice, T4-2019=100)

Fonte: Presentazione Rapporto Annuale Istat 2023

Se indubbiamente la dinamica macroeconomica osservata nell’ultimo periodo mostra un Paese che ha saputo far fronte a situazioni complesse, anche grazie a importanti e coraggiose decisioni, sullo sfondo permangono sfide che letteralmente possono essere definite come epocali, e legate soprattutto ai cambiamenti nella struttura per età della popolazione e alla riconfigurazione del sistema energetico. 

 

La demografia: eppur si muove

Il fenomeno del mutamento demografico può ben essere descritto prendendo a prestito le parole (mai dette per la verità) di Galileo Galilei: eppur si muove. La società italiana, e non solo, infatti, sarà inevitabilmente soggetta nel corso dei prossimi decenni a una trasformazione demografica che muterà sensibilmente la composizione della popolazione per classi d’età. Occorre, pertanto, attrezzarsi già oggi per far fronte a questo ineluttabile nuovo scenario. Purtroppo, però, dal Rapporto Annuale dell'Istituto emergono evidenze che vanno esattamente nella direzione opposta rispetto a quella raccomandabile. 

La figura 2 mostra la variazione annua rispetto al 2004, espressa in termini assoluti, del numero di occupati suddivisi per fasce d’età negli ultimi 18 anni. A livello aggregato, il numero di occupati ha fatto registrare un andamento altalenante con una iniziale crescita fino al 2008, contrazione durante il periodo della crisi finanziaria, successiva ripresa fino al 2019 e poi nuovamente in calo a causa del Covid-19 per, infine, assestarsi su un valore prossimo alle +800.000 unità. L’incremento a livello generale, tuttavia, nasconde al suo interno un importante divaricazione che si sta acuendo sempre più. Difatti, se da una parte il numero di occupati over 50 è significativamente e costantemente cresciuto (+4,15 milioni sul 2004), sul fronte opposto, ovvero tra i 15-34enni e tra i 35-49enni la dinamica è estremamente negativa. Per i primi, dopo una inziale fase di crescita durata fino al 2011, si osserva una riduzione che ha portato il valore a -950.000 unità a fine 2022; per i secondi l’andamento è ancora peggiore, con un calo che ha toccato il suo massimo nel 2020 (2,86 milioni di soggetti in meno rispetto al 2004) e che solo negli ultimi due anni mostra dei flebili segnali di ripresa, anche se restiamo comunque sotto di oltre 2,40 milioni di unità rispetto al dato iniziale. 

Figura 2 - Occupati per classe di età
Anni 2004-2022 (variazioni assolute in migliaia di unità rispetto al 2004)

Figura 2 - Occupati per classe di età

Fonte: Rapporto Annuale Istat 2023

A questo punto verrebbe da porre una ragionevole, almeno all’apparenza, contestazione a quanto fin qui scritto: “Per forza il numero di giovani occupati sta diminuendo e quello dei senior sta aumentando, la popolazione sta invecchiando!” Ed è qui che casca l’asino. Perché, se è innegabile che una parte di questo fenomeno è da attribuire allo scivolamento in avanti dell’età media dei lavoratori, che sulla base del Rapporto Istat a fine 2022 era pari a 43,6 anni (dato più alto tra i Paesi dell’UE a 27) e cresciuta di oltre 6 anni rispetto al 1993, la figura 3 mostra un’altra (scomoda) verità che spesso si tende a nascondere come polvere sotto il tappeto. Verità tanto più amara quanto più grave alla luce, per l’appunto, dell’ineludibile mutamento demografico che sta accadendo e che si verificherà nel nostro Paese.

Infatti, se si osserva la suddivisione della popolazione tra occupati, disoccupati e inattivi, nel 2004 e nel 2022 rispetto alle diverse fasce d’età, si può notare come la forza lavoro ha sì visto crescere la componente senior (over 50) ma solo in minima parte (+6 punti percentuali). Un tale incremento di per sé non è sufficiente a giustificare l’allargamento della forbice mostrata in figura 2 e che, invece, trova molta più spiegazione nella dinamica degli inattivi. La variazione tra le persone che né sono occupate né cercano occupazione nel periodo considerato, infatti, è interamente attribuibile alla componente junior del mercato del lavoro, e che a fine 2022 pesa quasi per il 60% tra gli inattivi maschi e circa il 40% tra le donne.

Figura 3 - Popolazione e forza lavoro di 15-64 anni per genere classe d’età

Figura 3 - Popolazione e forza lavoro di 15-64 anni per genere classe d’età

Fonte: Rapporto Annuale Istat 2023

 

Una dinamica di questo genere è l’esatto opposto di quanto sarebbe auspicabile per un Paese soggetto a un importante stress demografico. Occorre pertanto ridurre quanto prima l’enorme dispersione di risorse legata alla componente giovanile, partendo magari proprio dal sistema di istruzione e formazione e facendo capire ai ragazzi e alle ragazze (e ai loro genitori) che il modello liceo+università=lavoro non è necessariamente quello più idoneo per tutti. Ci sono infatti molte altre opzioni di studio e formazione altrettanto valide e in grado di offrire un ottimo inserimento all’interno del mondo del lavoro in settori che sono “affamati” di forza lavoro. 

A questo occorre poi aggiungere una nuova concezione del modello di lavoro che vada ad abbracciare il lavoratore lungo tutte le sue fasi di carriera e con mansioni adeguate all’età con dei veri percorsi di active ageing, consentendo così alle figure maggiormente senior di continuare a rimanere inserite all’interno del mercato del lavoro. 

Ci troviamo di fronte a una transizione che alcuni descrivono come una tempesta. Ora, premesso che così non è, ma anche volendo descrivere il fenomeno in atto come tale, le opzioni a nostra disposizione sono sostanzialmente due: sperare e auspicarci che la tempesta non arrivi o che ci sfiori solo marginalmente per via di qualche accadimento a oggi non prevedibile, oppure prepararci e attrezzarci di conseguenza, andando a sfruttare il potenziale legato alle trasformazioni in atto. Come? Con un cambio di paradigma che parta proprio dal ripensamento della concezione stessa di dividendo demografico, legato non più alla crescita incessante della popolazione, bensì all’aumento della componente legata ai Silver People.

Lorenzo Vaiani, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

26/7/2023 

 
 
 

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