Rapporto Draghi: una maggiore cooperazione per rilanciare la competitività europea

L'UE si trova a dover affrontare diverse sfide per rilanciare una crescita economica stagnante, cogliendo le opportunità della digitalizzazione e della decarbonizzazione ed evitando le insidie di un contesto geopolitico instabile. La ricetta Draghi predica un maggior coordinamento, a cominciare dalla dimensione istituzionale, con un focus strategico condiviso

Bruno Bernasconi

C’è stato un tempo in cui l’Europa era il centro del mondo, esercitando all’inizio del secolo scorso un’egemonia che si estendeva su tutto il pianeta in un periodo di profonde trasformazioni economiche, politiche e sociali. Lo spartiacque dei due conflitti mondiali ha poi sancito il passaggio di testimone agli Stati Uniti, con l’inizio del nuovo millennio che ha poi visto aprirsi un ampio divario tra il PIL dell’Unione Europea e quello USA per effetto di un rallentamento della crescita del Vecchio Continente causato da un gap di produttività. Al contempo, gli ultimi vent’anno hanno segnato la progressiva ascesa della Cina, che ha registrato un tasso di crescita medio annuo a doppia cifra vedendo il proprio Prodotto Interno Lordo decuplicare e diventando la seconda economia mondiale. 

Figura 1 - Andamento del PIL a confronto (USA, Cina e UE)

Figura 1 - Andamento del PIL a confronto (USA, Cina e UE)

Fonte: FMI

Nel 2002, il PIL dell’UE valeva circa il 23% di quello mondiale, quello degli Stati Uniti il 31% e quello della Cina circa il 4%; nel 2023, quest’ultima è salita al 17% raggiungendo l’Europa, scesa nel frattempo di circa 6 punti, mentre il peso degli USA è diminuito al 26%. A ciò si devono aggiungere un inasprimento delle tensioni internazionali a cui non eravamo più abituati, in un contesto di crescenti tendenze alla deglobalizzazione che rischia di far tramontare l’era della rapida crescita del commercio mondiale, di cui l’Unione ha beneficiato importando beni di cui era carente, come materie prime e tecnologie avanzate, ed esportando prodotti manifatturieri. Il tutto mentre l’Occidente si trova a dover fare i conti con l’aumento del peso politico, economico e diplomatico, nonché demografico, dei BRICS e con la conseguente volontà del gruppo di rappresentare il Sud Globale nei diversi tavoli negoziali regionali e globali, con il potenziale per modificare gli equilibri all’interno del panorama globale anche grazie al predominio di una quota rilevante di materie prime strategiche. 

L’Europa si trova dunque ad affrontare diverse sfide nel prossimo futuro per rafforzare la crescita e la competitività dell’Unione, recuperando il gap con le altre potenze mondiali anche tramite un ripensamento del proprio sistema economico. È quanto emerge dal rapporto Draghi presentato a inizio settembre, in un documento che in sintesi propone di adottare un approccio europeo in vari settori che finora sono stati gestiti soprattutto dai governi nazionali seguendo logiche locali: la politica industriale, l’approvvigionamento di energia, la difesa, gli investimenti del settore pubblico e privato nell’innovazione. 

Lo sviluppo economico diventa quindi fondamentale in un momento in cui l’UE sta affrontando una serie di nuove esigenze di investimento che dovranno essere finanziate attraverso una crescita maggiore. Per digitalizzare e decarbonizzare l’economia e aumentare la nostra capacità di difesa, sottolinea l’ex presidente della BCE, la quota di investimenti in Europa dovrà aumentare di circa 5 punti percentuali del PIL: per fare un confronto, gli investimenti aggiuntivi forniti dal Piano Marshall tra il 1948-51 ammontavano a circa l’1-2% del PIL all’anno.  Il rischio è quello di essere relegati a giocare un ruolo sempre più marginale all’interno dello scacchiere internazionale, compromettendo altresì la capacità di finanziare il nostro modello sociale nell’ambito della più grande transizione demografica mai sperimentata. Il cosiddetto inverno demografico comporterà infatti che, per la prima volta nella storia recente, la crescita non sarà sostenuta dall’aumento della popolazione, dovendo quindi fare maggiore affidamento sull’incremento della produttività. Nel 1950 la popolazione dei 27 Paesi che compongono attualmente l'Unione rappresentava il 12,9% di quella mondiale; oggi ne rappresenta il 5,5% ed entro il 2070 tale percentuale dovrebbe scendere sotto il 4%.

Per questo motivo la rivoluzione digitale, e in più in generale l’innovazione, diventa un fattore cruciale, in una partita che ha finora visto l’Europa rimanere ampiamente indietro: infatti, sottolinea il report, il divario di produttività che ha ampliato il gap tra l’UE e gli Stati Uniti è in gran parte spiegato dal settore tecnologico, ossia quello che guiderà anche la crescita futura.  Tra le 10 aziende a maggior capitalizzazione del mondo non figura nessuna europea, in una classifica dominata dalle big tech americane come Apple, Nvidia, Microsoft e Google. Più in generale, solo 4 delle 50 aziende tecnologiche più importanti al mondo sono europee, complice anche la dimensione ridotta del mercato dei capitali che frena lo sviluppo di imprese innovative le quali, a loro volta, contribuirebbero a rafforzare la crescita tecnologica e della produttività. Per far sì che ciò avvenga occorre appunto un mercato più ampio e integrato (da qui il progetto della Capital Markets Union) che consenta alle imprese un più facile accesso a capitale di rischio, consentendo una maggiore diversificazione delle fonti di finanziamento e diminuendo il ricorso al debito, meno adatto a progetti più rischiosi o con tempi di rientro più lunghi come quelli relativi a processi di innovazione.Elementi che rendono il panorama delle aziende europee ancora troppo legato alla old economy, rendendo quindi necessario colmare il divario con Stati Uniti e Cina nelle tecnologie avanzate.

Un’altra area di intervento riguarda la decarbonizzazione, le cui opportunità potranno essere colte solo tramite politiche coordinate in grado di abbattere i costi dell’energia quali ostacoli alla competitività, in un contesto che vede l’Europa svantaggiata a causa della carenza di risorse naturali. Infine, strettamente collegato ai temi della transizione digitale ed energetica, occorre aumentare la sicurezza e ridurre la dipendenza per la fornitura di materie prime critiche, in un’epoca di rinnovati rischi geopolitici che accrescono l’incertezza e minacciano di frenare gli investimenti o provocare interruzioni improvvise degli scambi commerciali. 

Per raggiungere tali obiettivi, Draghi esorta ad adottare «un nuovo approccio nei confronti della collaborazione: nel rimuovere gli ostacoli, nell’armonizzare norme e leggi e nel coordinare le proprie politiche». Se, da una parte, in molte aree gli Stati membri stanno già agendo individualmente, dall’altra agire come comunità favorirebbe processi decisionali più rapidi, ridurrebbe la frammentazione, aumenterebbe la capacità di spesa collettiva e consentirebbe di sfruttare maggiori economie di scala. Un maggiore coordinamento contribuirebbe inoltre al reperimento delle risorse utili a finanziare gli investimenti necessari, sia tramite il settore privato che quello pubblico. In primo luogo, sarà cruciale portare avanti il progetto della Capital Market Union per stimolare gli investimenti privati, con benefici tanto per le imprese quanto per i risparmiatori europei, favorendo l’innovazione e, di conseguenza, la crescita della produttività. Quest’ultima, a sua volta, sarà fondamentale per accelerare la crescita economica, aumentando lo spazio fiscale a disposizione del settore pubblico, per arrivare all’emissione di strumenti di debito comune. 

Bruno Bernasconi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

2/10/2024 

 
 
 

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