Investitori istituzionali e responsabili: oltre la metà dei player italiani sceglie l'ESG

Spinta anche dalla pressione del regolatore europeo, trova conferma nella quarta edizione dell'indagine curata dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali l'attenzione verso finanza SRI e integrazione dei criteri ESG di fondi pensione, Casse di Previdenza, Fondazioni di origine Bancaria e comparto assicurativo 

Mara Guarino

Si mantiene alta la sensibilità degli istituzionali italiani nei confronti della sostenibilità ambientale e sociale: più della metà (il 56%) dei rispondenti alla survey annuale curata dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali dichiara infatti di adottare già politiche di investimento sostenibile. L’81% (38 enti su 47) di quanti ancora non lo fanno ne ha già discusso in CdA o intende comunque includere in futuro strategie ESG, mentre l’analisi degli investimenti dei player istituzionali del Paese svela l’acquisto di prodotti ESG anche da una parte di quegli investitori che ancora non aderisce “formalmente” alla finanza SRI. Sono queste alcune delle principali evidenze emerse dal Quaderno di Approfondimento 2022 “ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani”, presentato quest’oggi a Roma in occasione del Forum ESG e sul Welfare Integrato Itinerari Previdenziali. 

Figura 1 – L’ente adotta una politica di investimento sostenibile SRI?

Figura 1 – L’ente adotta una politica di investimento sostenibile SRI?

Fonte: Quaderno di Approfondimento 2022 - “ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani”


Il campione e gli obiettivi della survey 

Nell’intento di scattare una fotografia qualitativa e quantitativa del processo di diffusione delle strategie di sostenibilità e integrazione dei criteri ESG nei portafogli finanziari, la pubblicazione – realizzata con il patrocinio di ASviS, Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile - muove le sue premesse dalla somministrazione di un questionario di 52 domande, volte a indagare pianificazione e modalità di attuazione delle politiche di investimento sostenibile da parte degli investitori istituzionali del Paese. Sono 106 gli enti rispondenti nel 2022, contro i 79 dello scorso anno, per un totale patrimoniale - al netto delle Compagnie di Assicurazione rispondenti - di oltre 219 miliardi di euro (erano 182 nel 2021), pari a circa l’83% dei patrimoni finanziari totali degli investitori, previdenziali e fondazionali, italiani. 

Nel dettaglio, hanno dunque partecipato all’indagine: tutte le 19 Casse di Previdenza privatizzate (con esclusione di ONAOSI), per un totale attivo rappresentato di oltre 92 miliardi di euro; 27 Fondazioni di origine Bancaria, con circa 34 miliardi di attivo, vale a dire il 74% del totale attivo delle 86 Fondazioni Acri; 18 fondi pensione preesistenti e 26 negoziali, per un ANDP rispettivamente di 36,8 e 55,6 miliardi di euro; 16 Compagnie di Assicurazione, per una percentuale sugli investimenti totali di classe C (rami I, IV e V) e danni del 30% circa. 

 

Le strategie sostenibili degli istituzionali italiani

Nonostante la percentuale di chi risponde “sì” (il 56%, pari a 59 enti) all’adozione di politiche SRI resti invariata rispetto al 2021 pur a fronte del significativo aumento dei rispondenti, guardando anche alle intenzioni future dei player istituzionali, dal questionario emerge una positiva e generalizzata attenzione nei confronti della sostenibilità. Cresce ad esempio nel confronto con lo scorso anno il numero di investitori che applicano politiche di investimento SRI a percentuali consistenti del proprio patrimonio: il 42% si colloca nella fascia tra il 75% e il 100% del patrimonio (erano il 37% nel 2021); sale invece dal 14% al 21% la percentuale di “investitori sostenibili e responsabili” che staziona nella fascia tra il 50% e il 75% del patrimonio. A segnalare il fatto che le strategie sostenibili non rispondono solo a un’esigenza etica ma possono portare benefici anche in termini patrimoniali, come peraltro confermato al momento della valutazione dei risultati dal 18% degli intervistati che adottano politiche di investimento sostenibili. 

Tra le ragioni che spingono verso la finanza SRI, si confermano di fatto in prima linea la volontà di contribuire allo sviluppo sostenibile (86%) e le opportunità legate a una migliore gestione dei rischi finanziari (67%) che, malgrado il primato, perdono punti percentuali in favore del tema reputazionale (passato dal 38% del 2021 al 42% del 2022) e soprattutto della pressione del regolatore, quasi raddoppiata (dall’8% al 15%). «Un segno tangibile, quest’ultimo, dell’evoluzione normativa comunitaria, che ha imposto nell’ultimo anno l’adattamento degli investitori al nuovo contesto regolamentare», spiegano Niccolò De Rossi e Gianmaria Fragassi, curatori dell’indagine per il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, non senza ricordare che, malgrado la rapida evoluzione del contesto normativo, il 49% dei rispondenti giudica sufficiente le proprie conoscenze in materia di sostenibilità, il 37% la ritiene buona e il 7% addirittura ottima. 

Per quanto riguarda il modo in cui le politiche d’investimento sostenibile vengono implementate, l’indagine offre poi un dettaglio sia delle strategie utilizzate sia delle modalità con cui i criteri ESG vengono applicati maggiormente. «Nonostante una riduzione rispetto al 2021, al primo posto si posizionano ancora le esclusioni (58%) – puntualizzano De Rossi e Fragassi - seguite da investimenti tematici (38%) e impact investing (35%)». Ancora piuttosto contenuto il ricorso all’engagement, strategia che forse comporta difficoltà di attuazione e/o viene ritenuta meno efficace per gli obiettivi di sostenibilità degli enti.

Figura 2 - Quali sono le strategie SRI adottate?

Figura 2 - Quali sono le strategie SRI adottate?

Fonte: Quaderno di Approfondimento 2022 “ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani”

Scendendo ancor più nel dettaglio, dalla survey emerge che le esclusioni riguardano soprattutto prodotti collegati al mercato delle armi (87%), ma sono molti anche gli enti che escludono investimenti riconducibili a pornografia (72%) e lavoro minorile (62%); ancora in coda la parità di genere (17%). Se sul versante delle convenzioni internazionali si conferma al primo posto il riferimento a UNPRI con il 70% delle risposte, per quanto concerne la strategia best in class, l’attenzione verso la tutela dell’ambiente raccoglie le prime due posizioni grazie a riduzione delle emissioni (in forte crescita sull’anno precedente) ed efficientamento energetico, entrambi scelti come criteri positivi dall’83% dei rispondenti. Segue il rispetto dei diritti umani (70%) ma colpisce in particolare il forte incremento della qualità dell’ambiente di lavoro (40%, contro il 29% del 2021), aumento probabilmente influenzato dall’impatto di COVID-19 su abitudini e organizzazione del lavoro. 

«Non si può dunque ridurre tutto a una sola questione di ambiente o energia – commentano i ricercatori del Centro Studi e Ricerche, spiegando che – se è vero che, nel caso di utilizzo di strategie che prevedono investimenti tematici, si conferma la forte predilezione per gli aspetti ambientali, lo è altrettanto che rispetto al 2021 cresce molto la sensibilità nei confronti della Silver Economy (37%), percentuale addirittura più che raddoppiata rispetto all’anno precedente, a riprova appunto della crescente attenzione da parte di investitori e industria finanziaria». Mentre il social housing (76% delle risposte) e i green bond (64%) sono tra gli ambiti preferiti nell’alveo dell’impact investingcresce tra gli investitori che ricorrono all’engagement l’approccio di tipo softsalito dal 57% del 2021 al 64% del 2022. Interessante comunque rimarcare l’elevata percentuale registrata a questa domanda dalla risposta “altro” (17%): sono infatti diversi gli enti che specificano come l’attività di engagement non sia svolta direttamente ma per il tramite dei rispettivi gestori. 

 

L’orientamento verso il futuro

Oltre a fotografare il presente, l’indagine offre qualche spunto sulla possibile traiettoria degli anni a venire. «Traiettoria - spiega il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali - che dovrebbe tendere verso l’alto: il 68% degli investitori che ha risposto al questionario afferma di voler comunque incrementare l’investimento in strumenti sostenibili». A spingere il trend la pandemia da COVID-19 che, per l’87% dei rispondenti, ha favorito un maggior ricorso agli investimenti ESG; percentuale da mettere in relazione con la convinzione, manifestata dal 41% degli enti rispondenti, che la componente sostenibile aiuti a contrastare le turbolenze dei mercati in termini di mitigazione del rischio complessivo.

Figura 3 - Alla luce degli effetti generati dalla pandemia, avete individuato specifici settori dove indirizzare maggiormente
i futuri investimenti in chiave ESG?

Figura 3 - Alla luce degli effetti generati dalla pandemia, avete individuato specifici settori dove indirizzare maggiormente i futuri investimenti in chiave ESG?

Fonte: Quaderno di Approfondimento 2022 “ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani”

Ad attirare l'attenzione degli istituzionali italiani in chiave futura sono soprattutto gli investimenti tematici, che raccolgono il 58% delle preferenze, seguiti da esclusioni e impact investing. Per quanto riguarda invece i settori di maggior interesse nel post COVID-19 meritano di essere segnalate le energie rinnovabili (68%), l’healthcare (45%) e, quasi a pari merito tra loro, tecnologia e infrastrutture sanitarie (38% e 36%); segue con il 28% delle risposte raccolte la Silver Economy, ambito verosimilmente destinato a una forte crescita in considerazione della portata del fenomeno di invecchiamento della popolazione. 

Novità 2022 di quest’ultima sezione dell’indagine dedicata al futuro è poi l’inserimento di alcune domande relative all’impatto del regolamento 2019/2088 SFDR, giudicato come limitato dal 63% degli investitori rispondenti e che potrebbe tradursi, in prospettiva, in una maggiore propensione verso l’acquisito diretto di fondi ESG. D’altra parte, al momento, il 39% degli investitori istituzionali ha in portafoglio fondi che non rispondono né all’Articolo 8 né all’Articolo 9 della SFDR, a testimonianza del grande potenziale di crescita di quest’ambito. 

I margini di implementazione sono insomma ancora molto ampi ma, nel complesso, il bilancio può già dirsi positivo. «Del resto è evidente – ha commentato Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali – come la sostenibilità sia ormai una componente essenziale di tutte le attività umane, nonché l’obiettivo che, ancor di più alla luce dell’esperienza pandemica, deve orientare lo sviluppo futuro del Paese e del mondo intero, nel pieno rispetto dei diritti ambientali, sociali e di governance». In questo senso devono muoversi e già si stanno muovendo anche gli investitori istituzionali italiani che, lungo questa direttrice, hanno un’importante occasione per sostenere il rilancio dell’economia e della produttività del Paese nel post COVID-19. Cura dell’ambiente, efficientamento energetico, innovazione digitale, infrastrutture sociali e abitative sono d’altra parte ambiti già individuati come centrali per il PNRR: «I fondi nazionali ed europei per la transizione ecologica e digitale, uniti agli investimenti dei player istituzionali orientanti alla finanza SRI – ha chiosato il Prof. Brambilla - potrebbero auspicabilmente rappresentare un’efficace formula di “collaborazione pubblico-privato” in grado di consentire il rilancio dell’economia italiana nel prossimo decennio».

Mara Guarino, Itinerari Previdenziali

27/4/2022

 
 

Ti potrebbe interessare anche