Un nuovo paradigma per la sanità integrativa

Pur mantenendo ben salda la propria mission, una maggiore valorizzazione del patrimonio potrebbe consentire alle forme di assistenza sanitaria integrativa di giocare un ruolo sempre più decisivo nell'era COVID-19 e nel periodo che seguirà: alcuni spunti sulla gestione finanziaria tratti dal Settimo Report Itinerari Previdenziali 

Michaela Camilleri

Gli attori della sanità integrativa hanno fornito una prima risposta all’emergenza COVID-19 a favore dei propri iscritti, per lo più attraverso coperture specifiche come indennità per ricovero e per isolamento domiciliare, contributi per servizi assistenziali e post ricovero, rimborso per prestazioni mediche, diagnostiche e infermieristiche effettuate a domicilio, prodotti assicurativi creati ad hoc e attivazione di servizi di teleconsulto medico. È evidente come fondi e Casse sanitarie, società di mutuo soccorso e Compagnie di Assicurazione che operano nel campo della salute, di fronte a un fenomeno così inaspettato come il nuovo coronavirus, siano intervenuti principalmente con misure di sostegno ex-post lasciando emergere ampi spazi di innovazione in termini di servizi e prestazioni offerti e nell’ottica di una sempre maggiore integrazione tra pubblico e privato.

Quale può essere allora il ruolo della sanità complementare nel “nuovo mondo”, il periodo di convivenza con COVID, e come potrà evolversi in futuro? Di questi temi si è peraltro discusso in occasione del convegno virtuale organizzato da Itinerari Previdenziali lo scorso luglio, dal titolo “Sanità integrativa, è tempo di una nuova prospettiva?”, durante il quale sono emersi diversi spunti riguardo le grandi potenzialità per questo settore, tra cui: la realizzazione di call center per un primo consulto medico e diagnosi a distanza, nell’ottica si sfruttare tutte opportunità messe a disposizione dalla telemedicina; la fornitura di device di monitoraggio (pressione, battito, temperatura, saturazione, ecc.) e trasmissione dati ai centri convenzionati, oltre a piccole strumentazioni domestiche per esami del sangue, urina o saliva con tamponi, per favorire processi di telemedicina e avere consulenza sanitaria in tempi brevi; il ricorso all’assistenza domiciliare così da ridurre il ricorso all’ospedalizzazione, per quanto possibile e nei casi meno gravi, attraverso un ampliamento delle reti convenzionate indipendenti.

Appare allora necessario discutere dell’importanza di rinforzare il ruolo della sanità integrativa rendendola più strutturata e autonoma, anche nell’interesse pubblico, partendo da una chiara e definitiva regolamentazione del sistema e da convenzioni funzionali in termini di servizi collettivi e riassicurazioni, soprattutto alla luce degli effetti dell’invecchiamento della popolazione e delle debolezze nell’attuale gestione dei cosiddetti Silver.

La valorizzazione del patrimonio può rappresentare una via per affrontare queste importanti sfide, senza perdere di vista la mission di questi enti, ossia l’erogazione di prestazioni socio-sanitarie a favore degli iscritti, e tenendo conto di alcune caratteristiche specifiche come la mutualità e la non selettività dei rischi

Prima di analizzare la composizione del patrimonio e le modalità di gestione delle forme di assistenza sanitaria integrativa, è utile procedere con un quadro d’insieme che delinei la dimensione del settore. Mentre permane un’assoluta carenza di normativa e di vigilanza, il sistema sanitario integrativo registra un aumento nel numero di fondi, di iscritti e delle risorse accantonate. Siamo in presenza di un investitore istituzionale di grande importanza, caratterizzato però da molte contraddizioni che non ne consentono una piena attività, con iniziative positive delle parti sociali spesso frenate da una componente politica che demanderebbe tutto alla sanità pubblica con sola possibilità per quella complementare di integrare ciò che il nostro SSN non garantisce (prestazioni extra LEA), nonostante le realtà che operano in questa direzione rappresentino solo una minima parte del sistema generale. 

Dall’analisi degli ultimi dati disponibili forniti dall’Anagrafe del Ministero della Salute, risulta infatti che nell’anno 2018 è stata attestata l’esistenza di 311 fondi (anno fiscale di riferimento 2017), di cui 302 enti, Casse e società di mutuo soccorso ex art. 52 c.2 lett. a) del DPR 517/1986 (fondi di tipo B) e 9 istituiti ai sensi dell’art. 9 del D. Lgs. n. 502/1992 (conosciuti come fondi di tipo A, esclusivamente integrativi del SSN). In totale gli iscritti sono pari a 10,616 milioni (ultimo anno fiscale disponibile 2016), di cui 10,605 milioni relativi a fondi di tipo A. Rispetto al totale, 7,755 milioni sono lavoratori, 2,160 milioni sono familiari di lavoratori e 743.120 sono pensionati e familiari.

L’Anagrafe del Ministero della Salute non fornisce informazioni sulle entrate relative ai contributi raccolti, mentre, con riferimento al totale delle prestazioni erogate, nel 2016 è stata attestata una spesa pari a circa 2,4 miliardi di euro. Come indicato nel Settimo Report sugli investitori istituzionali italiani redatto dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, è ipotizzabile che, sia per l’entrata a regime di fondi sanitari di grandi dimensioni, sia per le nuove iniziative intraprese nel corso degli ultimi anni, i contributi raccolti dai fondi ammontino per il 2019 a circa 2,9 miliardi di euro.

In assenza di dati ufficiali relativi al patrimonio complessivi di questi enti, procedere con una stima delle risorse accantonate è alquanto difficoltoso. Tuttavia, grazie ai dati di bilancio raccolti ed elaborati nel Report, è possibile indagare il patrimonio di 26 realtà, tra fondi, Casse e società di mutuo soccorso che raccolgono circa 1,85 miliardi di euro. Dall’analisi aggregata risulta che, in linea generale, escludendo in parte i grandi fondi storici e qualche grande fondo contrattuale, prevale la gestione indiretta tramite delega a gestori terzi, anche se in molti casi si procede con gestione diretta all’acquisto di OICR, SICAV e ETF. Per quanto riguarda il mix di investimenti, rispetto al 2018 è aumentata la liquidità (conti correnti e investimenti a breve termine, titoli postali) che pesa per circa il 30% (era il 21,7% lo scorso anno); si riducono fondi obbligazionari, obbligazioni e titoli di Stato, che pesano per il 51,6% contro il 72,5%. 

in totale gli investimenti liquidità, monetari e obbligazionari coprono oltre il 75% del totale investito. Diminuisce leggermente il peso delle polizze di assicurazioni, che passano dall’1,2% dello scorso anno allo 0,8%; gli investimenti in azioni, anche attraverso OICR, valgono il 4,85% contro il 4,6% del 2018. Altrettanto importante è l’investimento in fondi alternativi non presenti lo scorso anno, che nella rilevazione pesano per il 13%.

Figura 1 - Distribuzione % del patrimonio per tipologia di asset class 

Figura 1 - Distribuzione % del patrimonio dei fondi sanitari per tipologia di asset class

Fonte: Settimo Report sugli Investitori istituzionali italiani a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Gli investimenti risultano allora sono coerenti con le attività specifiche dei fondi sanitari che, sulla base del meccanismo di ripartizione annuale che li caratterizza, prevedono l’utilizzo dei contributi incassati dagli iscritti per pagare le prestazioni dell’esercizio. Di conseguenza, almeno le principali riserve devono essere disponibili e liquidabili in tempi strettissimi. Se questa considerazione vale anche per i fondi medio-grandi, diventa indispensabile per i numerosi fondi di ridotte dimensioni patrimoniali. I fondi medio-grandi peraltro dispongono di una gestione più diversificata, con investimenti anche di medio e lungo periodo, delle riserve in azioni e fondi alternativi; questi ultimi in attività prossime a quelle sanitarie come le RSA.

Nonostante l’enorme sviluppo dei fondi sanitari in termini di iscritti, si nota dall’esame dei bilanci 2019 una modesta patrimonializzazione di questi soggetti e la conseguente necessità di una normativa che preveda un aumento delle risorse da porre a riserva così da poter far fronte a situazioni sanitarie impreviste, quali quella recente di COVID-19, e alle nuove sfide in termini di prestazioni e servizi da offrire agli iscritti. 

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

4/1/2021

 
 
 

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