Meno tasse? E quel ceto medio che continua a pagare per tutti

Per quanto tempo può resistere un Paese se il carico fiscale grava su una sparuta minoranza di cittadini? È questa la domanda che viene da porsi guardando alle proposte in campo per la prossima Legge di Bilancio: proposte che sembrano ignorare i dati secondo i quali il 40,35% dei dichiaranti italiani già versa solo l'1,28% di tutta l'IRPEF

Alberto Brambilla

Meno tasse, meno tasse, meno tasse: questa è la ricetta magica del governo. Solo così, dice, si favorisce la crescita economica. E questo è il filo conduttore della Legge di Bilancio, una stanca ripetizione prodotta da politici che da 25 e più anni si sono “ricoverati” nel meraviglioso e remunerativo mondo della politica, avulso dalla realtà e dai numeri dell’economia. Per questo non mi ha molto stupito la frase del Ministro dell’Economia: “Io, figlio di un pescatore, so distinguere tra chi fa sacrifici e chi li può fare, state tranquilli e sereni”.

"Stai sereno" non porta bene, detto poi da chi dal 1996 è in politica suona pure male. E, nel solco della tradizione, non poteva che essere una Legge di Bilancio che di sviluppo, tecnologia, visione del futuro e attenzione alle grandi transizioni demografica, energetica, ecologica e digitale non ha nulla: solo 30 miliardi (35 per il 2026 e 40 per il 2027), la maggior parte dei quali in “assistenza di sussistenza”, in deficit per altri 9-10 miliardi e basata su decontribuzioni di ogni genere, riduzione ulteriore di imposte, esenzione dell’AUUF anche dall’ISEE, mille euro di bonus nuovi nati e, infine, ulteriori aumenti delle pensioni minime. Deficit ancora al 2,6% nel 2027, a patto che il PIL cresca ma già lo si vede in riduzione dello 0,2%, e rapporto debito PIL in crescita al 136% e poi al 137%. Ma la cosa che più sconcerta è la volontà di rendere strutturale quello che, ingannevolmente, viene indicato come “cuneo fiscale” ma che, in realtà, è uno sconto sui contributi pensionistici per redditi fino a 25mila euro dei dipendenti, per i residenti al Sud, giovani assunti, donne madri, disoccupati e così via. Gran parte di questi cittadini, come vedremo a breve, pagano poche o nulle tasse; ora gli diamo gratis anche la pensione. Se proseguiamo così, altro che sostenibilità economica del sistema previdenziale, raggiunta dopo tante riforme negli ultimi 30 anni! Nell'arco di un decennio si rischia di smontare il sistema alla faccia delle giovani generazioni.

Il Ministro Giorgetti si è però portato avanti dicendo al Meeting di Rimini e al Question Time che nessun sistema pensionistico regge a questa nostra demografia. Ma se è così, perché i giovani (o chi può) devono versare i contributi se poi quando tocca a loro prendere la pensione, il sistema scoppia? E quanto costano poi tutte queste decontribuzioni? Secondo i dati INPS, il mancato gettito per l’Istituto è stato di 20 miliardi nel 2022, 23 miliardi nel 2023 e probabilmente altrettanti nel 2024: in 3 anni, 66 miliardi in meno. Si tratta di debito occulto, di cambiali non contabilizzate che verranno pagate al momento dell'erogazione della pensione. Poiché prima o dopo le cambiali scadono, nella Legge di Bilancio per il 2024, lo Stato ha trasferito all'INPS, per pagare le quote di pensione beneficiarie di decontribuzioni varie, l’enorme cifra di 32 miliardi: un'intera manovra finanziaria, e ancor più sarà per il prossimo anno.

Ma restiamo ai numeri e partiamo dalle tasse cui pare il governo abbia dichiarato guerra. Secondo l’ultimo studio di Itinerari Previdenziali sui redditi relativi al 2022, dichiarati nel 2023 ed elaborati dal MEF in questi ultimi mesi, quelli che fanno una dichiarazione dei redditi positiva e quindi pagano almeno 1 euro di IRPEF sono solo 32,373 milioni di cittadini su 59,030 milioni di abitanti. Significa che il 45% degli italiani non ha redditi e quindi vive a carico di qualcuno, ma c’è di più: infatti, su circa 42 milioni di dichiaranti il 93,7% dell’intera IRPEF è pagato da 19,66 milioni di contribuenti, mentre i restanti 22,35 milioni ne pagano solo il 6,31%. Domanda: per quanto tempo può durare un Paese se una minoranza deve pagare per tutti?

Entriamo maggiormente nel dettaglio. Il 40,35% dei dichiaranti con redditi da negativi a zero, da zero a 7.500 euro lordi l’anno e da 7.500 a 15mila euro lordi l’anno - che, con le persone a carico, fanno 23,818 milioni di abitanti - versa l’1,28% di tutta l’IRPEF. La metà di questi non paga nulla: né tasse né contributi. Per garantire a questi primi 3 scaglioni di reddito la sola sanità, facendo la differenza tra l’IRPEF versata e il costo pro capite della sanità (131,103 miliardi di spesa sanitaria nel 2022 per un pro capite di 2.221 euro), occorre che altri contribuenti o il debito pubblico paghino ogni anno 50,4 miliardi. Sommando anche i 5.398.261 dichiaranti da 15.000 a 20.000 euro l’anno lordi, che per l’effetto bonus-TIR si riducono a 4.936.319 versanti (il 12,84% del totale) e che pagano il 5,02% del totale IRPEF, il 53,19% dei contribuenti - pari a oltre 31,4 milioni di cittadini -  versa soltanto il 6,21% di tutta l’IRPEF pari a 11,75 miliardi e forse una percentuale simile di altre imposte. Per garantire a questi 4 scaglioni la sanità occorrono 60 miliardi. Ora, la salute è un diritto primario e irrinunciabile di ogni cittadino ma di questo passo, se nessuno paga, altro che aumentare il numero di medici e infermieri (siamo agli ultimi posti della classifica per personale medico-infermieristico sul totale abitanti) o, come strilla l’opposizione, mettere più soldi (come sarebbe giusto) in sanità! Peraltro, siamo tra i pochi Paesi che non hanno una legge sui fondi sanitari e solo una piccola parte degli oltre 43 miliardi di spesa out of pocket è intermediata dai fondi socio-sanitari; siamo i più vecchi e non abbiamo una norma sulla non autosufficienza. Ci lamentiamo delle pensioni e penalizziamo la previdenza complementare.

E allora chi paga le tasse? Posto che il 53,19% versa il 6,21% dell’IRPEF, e quindi è totalmente a carico della collettività, che il 31,55% è pressoché autosufficiente su quasi tutte le funzioni salvo per l’assistenza, il grosso dell’IRPEF è pagato dal15,26% di contribuenti che dichiarano redditi da 35mila euro in su e che si sobbarcano oltre il 63% dell’IRPEF e quasi il 100% di tutte le restanti imposte dirette. Dallo sparuto “ceto medio” che dichiarando da 35mila euro in su è fuori da tutte le agevolazioni, salvo qualche bonus e una parte dell’AUUF. Possiamo andare avanti così?

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

 29/10/2024

 
 

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