Assistenza, quanto incide sugli squilibri regionali

Ben 12 Regioni italiane presentano un rapporto tra entrate contributive e uscite per prestazioni al di sotto della soglia di equilibrio del 75%. A incidere significativamente, secondo i dati elaborati dall'ultimo Rapporto Itinerari Previdenziali, l'eccesso di prestazioni assistenziali

Michaela Camilleri

Dall’analisi dei dati rielaborati dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali nel Settimo Rapporto “La Regionalizzazione del Bilancio Previdenziale italiano” presentato lo scorso 7 novembre al CNEL emerge un’evidente disomogeneità tra le tre macroaree del Paese in termini di entrate contributive, uscite per prestazioni e relativi saldi di gestione. 

Guardando alle gestioni INPS relative al settore privato, nel 2021 il 64% del totale delle entrate proviene dalle 8 regioni del Nord (95,134 miliardi di euro), il 20% dalle 4 regioni del Centro (29,74 miliardi) e il 16% dalle 8 regioni del Sud (23,683 miliardi). Venendo alle singole regioni, la Lombardia versa il 26,9% del totale entrate, pari a 39,959 miliardi, quasi il doppio dell’intero Sud; seguono Veneto con il 10,9%, Emilia-Romagna con il 10,4% e Piemonte con 8,4%. Al Centro il Lazio versa il 9,7%, mentre al Sud regioni popolose come la Campania e la Sicilia versano rispettivamente il 4,4% e il 3,3%. Sul fronte opposto, al Nord fa capo il 57,6% delle uscite totali per prestazioni (105,15 miliardi), il 19,7% al Centro (36,03 miliardi) e il Sud il 22,7% con uscite che rappresentano quasi il doppio delle entrate (41,34 miliardi); la Lombardia assorbe il 21,6%, 5,3 punti in meno rispetto alle entrate, la Calabria il 2,2%, esattamente il doppio delle entrate; il Trentino e la Lombardia sono le uniche regioni con le uscite per prestazioni inferiori alle entrate. Conseguentemente, il saldo tra entrate e uscite per il 2021 presenta un disavanzo complessivo di 33,96 miliardi, di cui il Sud assorbe il 52% per 17,68 miliardi; il Centro produce il 18% del deficit e il Nord il 30%. Le regioni che presentano disavanzi pesanti sono Piemonte, Sicilia, Puglia, Campania, Toscana, Calabria e Liguria.

Figura 1 – I tassi di copertura regionali delle gestioni INPS del settore privato nel 2021

Figura 1 – I tassi di copertura regionali delle gestioni INPS del settore privato nel 2021

Fonte: Settimo Rapporto “La Regionalizzazione del Bilancio Previdenziale italiano”

L’indicatore che meglio riassume questi equilibri (o disequilibri, a seconda dei casi) regionali è il tasso di copertura, cioè quanto i contributi versati da ogni singola regione coprono le uscite per prestazioni. Il tasso di copertura per macro-aree è pari al 57,25% al Sud, 82,61% al Centro e 90,47% al Nord, trascinato al ribasso da Piemonte e Liguria colpite dagli effetti della deindustrializzazione iniziata negli anni Novanta e da un Friuli-Venezia Giulia che però si attesta sopra l’81%. Le uniche regioni con un valore positivo sono il Trentino-Alto Adige con il 102,29%, il che significa che a fronte di 100 euro di prestazioni i residenti delle province autonome di Trento e Bolzano versano 102,29 euro di contributi, e la Lombardia con un tasso di copertura pari al 101,42%. Al terzo posto si classifica il Veneto con 96,6%; seguono Lazio ed Emilia-Romagna, mentre tutte le altre regioni stanno sotto il 77%. La Calabria resta il fanalino di coda con il 39,67%. Considerando il 75% come rapporto di “equilibrio” tra entrate contributive e uscite per prestazioni, ben 12 regioni su 20 si posizionano al di sotto di tale soglia, tra cui tutte le regioni del Mezzogiorno che, al netto dell’Abruzzo con il 67,6%, si collocano addirittura sotto il livello del 65%.

 

Quali sono le cause di questo squilibrio regionale dei conti previdenziali?

L’analisi dimostra che esiste una correlazione diretta tra saldi di gestione e tipologia delle prestazioni in erogazione: infatti, dove prevalgono saldi positivi e tassi di copertura intorno al 70% la maggior parte delle prestazioni sono di tipo “previdenziale” e quindi supportate da contributi realmente versati; viceversa, dove i tassi di copertura e i saldi sono fortemente negativi prevalgono prestazioni di tipo “assistenziale”, finanziate dalla fiscalità generale. La riprova si ottiene confrontando i tassi di copertura appena esaminati (figura 1) con la distribuzione regionale delle prestazioni assistenziali (figura 2). Fa eccezione la Liguria che, pur avendo un tasso di copertura basso 63,55%, ha poche prestazioni assistenziali pure, ma evidenzia la presenza di molte integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali causate dalla deindustrializzazione pubblica e privata che è stata sostituita da attività con carriere discontinue, anche nel corso del medesimo anno (soprattutto nel settore turistico e balneare con fruizione di prestazioni a sostegno del reddito) e con modeste contribuzioni. Peraltro, Liguria e Friuli-Venezia Giulia sono le regioni più “vecchie” d’Italia.

Figura 2 – La distribuzione delle diverse tipologie di prestazioni per regione nel 2021

Figura 2 – La distribuzione delle diverse tipologie di prestazioni per regione nel 2021

Fonte: Settimo Rapporto “La Regionalizzazione del Bilancio Previdenziale italiano”

La dimostrazione della correlazione diretta si evince ancor più esaminando i due casi limite: in Emilia-Romagna, ad esempio, per ogni 100 prestazioni erogate 63,6 sono di vecchiaia (di cui 40 di anzianità con storie contributive medie di circa 37 anni di contributi); 19,7 sono prestazioni ai superstiti; 4,1 di invalidità previdenziale e solo 12,5 assistenziali. In Campania su 100 prestazioni solo 40,1 sono di vecchiaia (di queste solo 19,1 sono di anzianità); 19,5 ai superstiti, 6,5 di invalidità previdenziale e 33,9 assistenziali. Inoltre, al Sud e nelle Isole, una buona parte delle pensioni di vecchiaia sono integrate al minimo, perché ottenute a fronte di storie contributive modeste. Fino al 1992 bastavano infatti solo 15 anni di contributi (20 dopo le riforme), compresi i periodi di disoccupazione, per ottenere la pensione di vecchiaia. 

Considerando anche altre componenti della spesa assistenziale, come ad esempio il reddito e la pensione di cittadinanza, il quadro si mostra ancora più chiaro: la Campania riceve il 16,21% della spesa assistenziale totale, pari a 34,2 miliardi di euro, pur avendo il 9,5% della popolazione italiana; seguono la Sicilia, che riceve il 13,6% del totale della spesa assistenziale, ospitando l’8,2% della popolazione, il Lazio con l’11,4% della spesa e una quota di residenti pari al 9,7% della popolazione totale e la Lombardia che riceve il 10,4% della spesa per assistenza con una popolazione residente pari al 16,9% di quella italiana. Aggregando per macroaree, il Sud assorbe il 52,37% dell’intera spesa assistenziale con una popolazione residente pari al 33% del totale contro il 28,21% del Nord che però ospita il 46% della popolazione italiana.

Figura 3 – La distribuzione delle diverse componenti della spesa assistenziale per regione nel 2021

Figura 3 – La distribuzione delle diverse componenti della spesa assistenziale per regione nel 2021

Fonte: Settimo Rapporto “La Regionalizzazione del Bilancio Previdenziale italiano”

Il peso delle prestazioni assistenziali, in aggiunta a problemi economici e di invecchiamento della popolazione, è quindi determinante nella produzione dei disavanzi. Da qui l’allarme più volte richiamato quando si parla di spesa sociale confondendo quella tipicamente pensionistica da quella puramente assistenziale che, proprio per la sua natura, è più difficilmente controllabile dalla politica; anzi, è spesso utilizzata come mezzo per raccogliere maggiore consenso. Per questo motivo, l’abnorme spesa per assistenza ha urgente bisogno di una rigida revisione nell’ottica di sviluppare il Sud e il Paese tutto. 

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

20/11/2023

 
 

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