Aumenta la spesa per assistenza ma anche la povertà: dove sbagliamo?

Negli ultimi anni l'Italia è andata incontro a un significativo aumento della spesa assistenziale accompagnato, quasi di pari passo, da un incremento delle famiglie che si trovano in condizioni di povertà: una contraddizione che solleva domande importanti sulla reale efficacia delle nostre politiche di welfare

Elena Tavanti e Melania Turconi

Negli ultimi anni, la povertà assoluta in Italia ha mostrato una crescita preoccupante: secondo quanto si legge nell’ultimo Rapporto annuale Istat, al 2023 il fenomeno affliggerebbe circa 2 milioni e 235mila famiglie (l’8% del totale) e 5 milioni e 745mila individui (il 9,8% della popolazione italiana). Le recenti dinamiche inflazionistiche, più accentuate in Italia che negli altri Paesi Europei, hanno sicuramente esercitato il loro peso: l’aumento generalizzato dei prezzi, trainato principalmente dai beni energetici e alimentari, ha eroso il potere d’acquisto dei salari e, mentre il costo della vita è cresciuto rapidamente, i salari nominali sono rimasti sostanzialmente stabili, portando a una riduzione del reddito disponibile per molte famiglie. A discapito soprattutto di quelle meno abbienti, in cui le spese per beni difficilmente rinunciabili come energia e alimenti incidono maggiormente sul bilancio.

Anche guardando all’evoluzione della spesa familiare mensile che, di per sé rappresenta un utile indicatore a livello aggregato per il benessere della popolazione, si rileva del resto un aumento costante, pari all’8,3% dal 2014 a oggi: una crescita costante, interrotta solo nel biennio 2020-2021, dagli interventi governativi messi in atto per contrastare gli effetti economici di COVID-19. Tanto che, stando all’ultimo dato disponibile e riferito al 2023, la spesa media per consumo delle famiglie residenti in Italia ammonterebbe a 2.728 euro, segnando un aumento del 3,9% rispetto all'anno precedente. L’innalzamento riflette principalmente l’inflazione (+5,9%), e in termini reali, la spesa media si riduce dell'1,8%. Tra il 2013 e il 2023, il potere di acquisito delle retribuzioni lorde è diminuito del 4,5%.

L'incremento dei prezzi ha inciso sui bilanci familiari e, di conseguenza, sul tasso di risparmio lordo che è sceso dal 7,8% del 2022 al 6,3% del 2023: secondo l’Istituto aumentano di riflesso le fila di coloro che, a causa di necessità impreviste, si avvicinano a quella zona grigia che potrebbe rappresentare l’avvicinamento a una zona di povertà. Le stime del Rapporto evidenziano infatti come il tasso di povertà, indicante la percentuale di persone il cui reddito disponibile è inferiore al 60% del reddito mediano nazionale, sia particolarmente elevato in Italia: al 2023 è del 18,9%, ben 2,7 punti percentuali sopra la media europea. 

L’inflazione da sola non basta però a motivare questi dati, soprattutto se si guarda al lungo periodo. Bisogna infatti tenere a mente che il fenomeno inflattivo ha raggiunto percentuali particolarmente elevate solo nell’ultimo biennio: l’IPCA (Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato per i Paesi dell'Unione Europea) è passato dall'1,9% del 2021 al 5,9% del 2023, raggiungendo il picco di +8,7% nel 2022. Di contro, come evidenzia l’Istituto Nazionale di Statistica, l’incidenza della povertà assoluta ha continuato a crescere costantemente negli ultimi dieci anni senza grandi fluttuazioni. In particolare, nel corso del decennio 2014-2023, l’incidenza della povertà assoluta a livello familiare è salita di oltre due punti percentuali, dal 6,2% (pari a 1 milione e 552mila famiglie in condizione di povertà) all’8,5% mentre quella individuale è passata dal 6,9% (erano 4 milioni e 149mila) al 9,8%. Con un ulteriore paradosso: questa crescita è stata parallela all’incremento della spesa per assistenza che, come evidenziano i dati dell’Undicesimo Rapporto Itinerari Previdenziali, ha raggiunto un picco di 157 miliardi proprio nel 2022 (ancora non disponibile il dato riferito al 2023). 

Figura 1 – Andamento della spesa assistenziale e della povertà

Fonte: elaborazioni a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

 

Un fenomeno oltretutto trasversale a tutte le aree geografiche del Paese, per quanto il Mezzogiorno ne risulti più colpito. Con riferimento al 2023, la percentuale di famiglie in condizione di povertà assoluta risulta più bassa al Centro (6,8%), intorno all’8,0% al Nord e maggiore al Sud (10,2%) e nelle Isole (10,3%); simile la distribuzione a livello individuale: il valore più basso si registra ancora una volta al Centro (8,0%) e più alto nel Sud e nelle Isole (12,1%), con il Settentrione che varia dall’8,7% del Nord-Est al 9,2% del Nord-Ovest. Guardando invece all’intero decennio 2014-2023, l’incidenza familiare della povertà aumenta molto al Nord (da 3,6% all’8%), cresce in maniera più moderata al Centro (dal 5,5% al 6,8%) e al Sud (dal 9,1% al 10,2%), mentre resta pressoché stabile nelle Isole (10,6% nel 2014 e 10,3% nel 2023); l’incidenza individuale sale invece nel Nord-Ovest dal 5,9% al 9,2%, nel Nord Est dal 4,5% all’8,7%, nel Centro cresce dal 5,7% all’8%, nel Mezzogiorno dall’8,9% fino al 12,1% mentre nelle Isole peggiora relativamente di poco, dall’11,8% al 12,1%. 

Tornando dunque al contestuale incremento della spesa per assistenza sociale, interessante a questo punto guardare anche al modo in cui si sono contestualmente evolute e distribuite misure assistenziali e di contrasto alla povertà, tra cui reddito e pensione di cittadinanza che, secondo l’Istituto, avrebbero consentito tra il 2020 e il 2022 a oltre 400mila famiglie e circa 1 milione di individui (867mila nel 2020) di uscire da questa condizione, riducendo il divario di povertà nel Sud e nelle Isole rispettivamente del 4,0% e del 4,1%. Pur demandando ad altri sedi giudizi sia sulla misura in sé sia sulla successiva riforma, i numeri nel loro complesso sembrano comunque fotografare i risultati di un provvedimento che, lungi dall’affrontare strutturalmente le possibili cause del fenomeno, si è rivelato semmai un palliativo per individui in condizioni di bisogno o fragilità. 

Figura 2 - Nuclei richiedenti RdC e PdC per anno e regione

Figura 2 - Nuclei richiedenti RdC e PdC per anno e regione

Fonte: rielaborazione su dati Osservatorio Statistico INPS

Anzi, proprio per tutte queste ragioni, la domanda che dovrebbe sorgere spontanea è: come sono possibili sacche di povertà così ampie nonostante anno dopo anno cresca la spesa assistenziale a carico della fiscalità generale? Ci troviamo di fronte a una sorta di cortocircuito: siamo davanti a numeri che non sembrano descrivere un Paese del G7 come in verità l’Italia sarebbe e, per di più, quelle misure che dovrebbero fungere da paracadute mitigando le percentuali sopra citate gravano sulle casse dello Stato senza sortire l’effetto voluto. Come ricorda il già citato Rapporto, il costo delle attività assistenziali a carico della fiscalità generale è ammontato nel 2022 a 157 miliardi, con un aumento di 12 miliardi rispetto ai 144,2 del 2021. Dal 2008, quando la spesa per assistenza ammontava a 73 miliardi, gli oneri a carico dello Stato sono più che raddoppiati, con un tasso di crescita annuo del 7,67%, che difficilmente potrà essere sorretto ancora a lungo a fronte di un debito pubblico prossimo ai 3mila miliardi. «Verrebbe da dire che non solo spendiamo molto ma che spendiamo anche male», il commento del Prof. Brambilla che, in occasione della presentazione della pubblicazione dello scorso gennaio, ha dunque più volte richiamato l’attenzione sulla necessità di razionalizzare questa spesa che da troppo tempo appesantisce le finanze statali, sottraendo risorse a produttività e sviluppo. 

Tre, in particolare, i punti d’attenzione focalizzati dalla pubblicazione Itinerari Previdenziali. Innanzitutto, una maggiore efficienza della macchina organizzativa ancora oggi priva, ad esempio, di una banca dati dell’assistenza fondamentale per garantire un monitoraggio efficace tra i diversi enti erogatori di misure assistenziali (Stato, Regioni, comuni, etc), agevolando da una parte la presa in carico con strumenti e servizi adeguati solo di quanti hanno effettivamente bisogno e scoraggiando dall’altra quanti oggi si approfittano di un ISEE facilmente raggirabile e di prove dei mezzi pressoché inconsistenti. Di qui il secondo punto, vale a dire la necessità di controlli più stringenti in assenza dei quali, bonus e sussidi (spesso elargiti incondizionatamente da una politica desiderosa di raccogliere consenso) spesso finiscono con il non raggiungere i bisognosi quanto piuttosto con l’incentivare fenomeni di evasione e sommerso: un dispendio di risorse che rischia insomma di indebolire le casse dello Stato senza che il tessuto sociale del Paese ne tragga effettivo giovamento. Ecco perché (terzo elemento di attenzione) sarebbe semmai bene promuovere politiche meno orientate all’assistenzialismo a favore di un welfare più attivo e attento semmai alle dinamiche del mercato del lavoro, sul versante sia occupazionale che salariale, rafforzando ad esempio formazione, riqualificazione professionale e strumenti di incontro domanda-offerta. 

Elena Tavanti e Melania Turconi, Itinerari Previdenziali

25/7/2024 

 
 
 

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