Perché la Silver Economy non è la White Economy

Quando si parla di demografia e invecchiamento si valutano troppo spesso esclusivamente gli aspetti negativi della conquistata longevità e si finisce con l'equiparare Silver e White Economy: perché l'economia d’argento non è solo salute e sanità

Michaela Camilleri

"È successo, e continua in modo quasi esponenziale, che siamo diventati improvvisamente longevi. Tocca praticamente a tutti vivere 20-30 anni in più, fatto inaudito, mai capitato nella storia del genere umano. E noi italiani siamo capofila in questi “anni supplementari”, in buona parte fruibili dopo il pensionamento in condizioni di vita attiva e con una parte finale, eventualmente, di vita disabile. Bisogna pensare a come gestire la quota attiva e quella disabile, come individuo e come popolo. Per utilizzare questi anni supplementari al meglio, per non esserne travolti, per magari farne una vera e propria risorsa”.

È contenuta tutta qui la differenza tra Silver e White Economy. Il Professor Roberto Bernabei, Presidente di Italia Longeva, nel suo contributo all’ultimo Quaderno di Approfondimento Itinerari Previdenziali dedicato al tema dell’economia d’argento, sottolinea bene come vi siano due fasi da considerare negli “anni supplementari” che abbiamo conquistato: da un lato, la fase ancora attiva vissuta in buona salute, e, dall’altro, la fase finale che potrebbe essere caratterizzata dalla non autosufficienza. Troppo spesso quando si parla di invecchiamento si tende a considerare esclusivamente la seconda parte della “vita supplementare”, ragionando sui maggiori costi per lo Stato e per le famiglie legati ai problemi che possono derivare dal vivere più a lungo. Di conseguenza, laSilver Economy viene equiparata alla White Economy in termini di settori economici e di servizi coinvolti. In realtà, i due concetti sono molto diversi per approccio e opportunità. 

La White Economy richiama comunemente l’insieme di risorse e attività orientate alla soddisfazione dei bisogni di salute. Si tratta quindi dell’economia riconducibile all’intera filiera della salute, che ruota intorno ai sistemi di prevenzione, cura e assistenza (rete ospedaliera e territoriale, servizi socio-assistenziali, diagnostica, farmaceutica, dispositivi medici, prevenzione, riabilitazione, e molto altro ancora). Può considerarsi, dunque, un “di cui” del più ampio concetto di Silver Economy, così come proposto dagli autori del citato Quaderno riprendendo e ampliando la definizione data dalla Commissione Europea: “La Silver Economy è il complesso delle attività economiche (prodotti, servizi, occupazione), rivolte specificamente: a) alla popolazione con 50 anni e più che riguardano i miglioramenti degli stili di vita in termini di nutrizione, attività fisiche, prevenzione, conciliazione tempi famiglia-lavoro, formazione continua e tutto ciò che sarà utile alla futura età di quiescenza di cui queste persone usufruiscono direttamente e l’ulteriore attività economica che questa spesa genera compreso l’incremento dell’occupazione; b) il complesso delle attività economiche relative alle persone con 65 anni o più inclusi anche i prodotti e servizi materiali e immateriali, beni e prodotti di consumo o investimento, le varie forme di assistenza psicologica, riabilitativa e sanitaria di cui queste persone usufruiscono direttamente e l’ulteriore attività economica che questa spesa genera compreso l’incremento dell’occupazione”. 

La Silver Economy include, dunque, tutte le attività economiche legate alla sfera della salute, ma definisce anche i consumi della popolazione Silver in prodotti e servizi, legati al benessere, al tema della socialità, della mobilità, dell’alimentazione e della casa, solo per citare alcuni settori, peraltro sempre più impattati dall’evoluzione tecnologica. 

 

La dimensione dell’abitare: il senior living

Nell’ambito della Silver Economy la dimensione dell’abitare non riguarda solo le RSA o la necessità di adattare la propria abitazione per far sì che risulti accessibile a una persona con disabilità o limitazioni motorie. Esiste una terza sfaccettatura dell’abitare: il senior living o senior housing, ovvero complessi di edifici all’interno dei quali i residenti (anziani soli, giovani coppie, studenti, coppie di anziani) vivono in propri appartamenti, come in un normale condominio, con in più la possibilità di usufruire di attività come: farmacia, servizi di riabilitazione e wellness, servizi infermieristici e medici o, ancora, servizi domestici, aree di verde e spazi comuni per la ristorazione e attività ludiche.

Sono, tuttavia, ancora poche ed “esclusive” le strutture che offrono una proposta di questo tipo. Si consideri che, secondo i dati Nomisma, nel 2019 in Italia sono stati investiti appena 192 milioni di euro per progetti di senior living, corrispondenti al 2,1% del totale degli investimenti corporate. L’importanza della creazione di queste oasi sociali è stata riconosciuta anche dal PNRR che ha destinato oltre 300 milioni di euro per la riconversione delle residenze per anziani in strutture classificabili come di senior housing.

 

L’alimentazione e la nutraceutica

I dati Istat relativi alla spesa per consumi delle famiglie dimostrano come i Silver, subito dopo l’abitazione e le utenze, spendano più delle altre fasce d’età per i prodotti alimentari (19% della spesa media mensile per un over 65 single, 21% se in coppia senza figli). Dunque, il settore dell’alimentazione è (e sarà) senza dubbio uno dei maggior ambiti coinvolti dalla Silver Economy, anche in considerazione delle dinamiche demografiche in atto che non comportano solo uno scivolamento verso le età più anziane ma anche una modificazione della struttura sociale e familiare: le persone Silver che vivono sole in prospettiva saranno sempre di più e i risultati dell’indagine campionaria riassunti nel Quaderno Itinerari Previdenziali evidenziano come gli over 75 si dimostrino insieme ai Silver di età compresa tra i 50 e i 64 anni i principali consumatori abituali di cibi monoporzione e pronti per l’uso.

Non si tratta solo di acquisto di prodotti alimentari: un settore in forte espansione è già oggi quello della nutraceutica, termine con il quale si indica la scienza che unisce le componenti degli alimenti che possono favorire la buona salute o prevenire e curare una serie di patologie. È in pratica l’unione di cibi tradizionali come il latte, arricchiti ad esempio con l’aggiunta di Omega3, di calcio o altre componenti; oppure è una ricombinazione di cibi con integratori o cibi senza glutine, senza zucchero, senza grassi e così via. L’ultimo rapporto di Mediobanca stima che, nel 2021, a livello mondiale questo mercato valeva 500 miliardi di dollari che, nel 2027 diventeranno 745 con una crescita media annua del 7% circa. La categoria più consistente è quella dei cibi per il controllo del peso con 214 miliardi di dollari in ulteriore sviluppo, seguita dagli integratori, che valgono 140 miliardi, i cosiddetti baby food (73 miliardi) e i cibi vegani con 25 miliardi ma in fortissima crescita. Di questi 500 miliardi, il mercato della nutraceutica italiano ne rappresenta circa 5, divisi tra 300 milioni in alimenti per l’infanzia, 800 milioni in nutrizione specializzata (in particolare le soluzioni per celiaci e a fini medici speciali) e 3,8 miliardi in integratori alimentari che, nel 200,  valevano meno di 1,3 miliardi.

 

Palestre e fitness

Considerando che il maggior desiderio dei Silver è vivere in buona salute, l’attività fisica è un elemento essenziale per poter vivere al meglio gli “anni supplementari”. Tuttavia, l’Istituto Superiore di Sanità tramite il portale Passi d’Argento riporta come nel 2021 solo il 35% degli over 65 sia attivo, ovvero svolga almeno 150 minuti di attività fisica alla settimana.

Le possibilità offerte dal mercato sono innumerevoli e declinabili sulla base delle specifiche esigenze: dagli sport acquatici, che consentono di allenare polmoni e cuore senza sovraccaricare le articolazioni o la spina dorsale, al pilates o allo yoga per correggere la postura, mantenere i muscoli elastici e allenare la coordinazione e l’equilibrio. In Italia, secondo i dati di Unioncamere e InfoCamere, nel 2019 erano attivi 8.114 centri tra palestre specifiche e spazi dedicati al fitness in più ampi complessi sportivi, per un giro d’affari in circa 10 miliardi l’anno; la Sport Industry, il comparto della produzione di attrezzature, calzature e abbigliamento di carattere sportivo, secondo i dati del Cerved, ha invece un fatturato annuo aggregato di 13 miliardi di euro. 

Il fitness rappresenta anche un’opportunità di lavoro: si stima che in Europa lavorino nel settore circa 7 milioni di addetti mentre, in l’Italia, queste figure professionali sono oltre 120mila e la loro richiesta è in aumento, soprattutto per specifiche professionalità tecniche come i laureati in scienze motorie. Il loro tasso medio di occupazione si aggira al 75% e raggiunge ben il 94,1% entro un anno dalla laurea.

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali


1/8/2023

 
 

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