L'insostenibile leggerezza della sostenibilità

Ursula Von Der Leyen ha presentato lo European Green Deal, che sarà l’architrave del suo mandato di Presidente della Commissione Europea. L’obiettivo da raggiungere è molto ambizioso: non mancano però anche gli aspetti positivi, così come le novità rispetto al passato, che meritano un'attenta analisi

Giovanni Gazzoli

Il Green Deal Europeo sarà il nostro momento “sbarco dell’uomo sulla Luna”: non ha certo scelto il low profile Ursula Von Der Leyen, neo Presidente della Commissione Europea, per presentare l’ambizioso progetto cardine del suo governo comunitario. Un registro roboante, che amplifica – se possibile – il già ambizioso livello stabilito dai numeri: il piano, infatti, prevede che l’UE raggiunga entro il 2050 la neutralità climatica, riducendo entro il 2030 almeno del 50% l’emissione di gas serra (al momento l’obiettivo è al 40%), e fornendo specifiche ulteriori con una legge sul clima che verrà presentata entro marzo 2020 e che obbligherà i Paesi membri ad adeguarsi a tali obiettivi (legge che necessiterà di una maggioranza qualificata per essere approvata dal Consiglio, e non dell’unanimità, vero ostacolo a qualsiasi rivoluzione comunitaria).

Sarebbe troppo facile sottolineare le lacune di questo piano, nonché gli ostacoli che certamente ostruiranno la strada del Green Deal. Ancor più facile, forse, alla luce del fallimento di COP 25, che ha certificato la difficoltà di trovare unanime consenso quando si arriva al dunque in tema di accordi climatici. Ci sono, tuttavia, diversi aspetti che meritano attenzione, perché elementi di novità rispetto a tanti annunci del passato che, alle grandi intenzioni, non hanno fatto seguire i fatti. In particolare, se ne possono identificare tre.

Il primo potrebbe essere riassunto nel termine “realismo politico”, che si evidenzia in due contesti, interno ed esterno. All’interno dell’Unione, infatti, il grande tema sarà quello di convincere gli Stati scettici a sposare questo piano, soprattutto gli Stati dell’est Europa le cui economie dipendono in modo maggiore dallo sfruttamento del carbone: non è un caso, dunque, che venga espressamente evidenziata la necessità di attuare questo piano in modo equo e inclusivo, prestando attenzione al fatto che “non tutti gli Stati Membri, le regioni e le città si approcciano a questa transizione dallo stesso punto”, e dunque lasciando aperta la porta a trattative che portino a un compromesso (soprattutto economico) durante il percorso. È incoraggiante, in questo senso, che il Consiglio Europeo abbia espresso unanime consenso a questo programma, pur specificando che un Paese (la Polonia) si riserva di prestare il suo consenso in futuro: un compromesso, appunto, che già segna una distanza rispetto a numerose passate votazioni bloccate da veti di Stati minori. L’altro nodo è all’esterno dei confini comunitari, e insidia tale piano mettendone in dubbio l’attuabilità e l’efficacia in relazione alle attività e ai rapporti con gli altri grandi player globali, dalla Cina agli USA, passando per Brasile, India, Africa, etc... Ebbene, tale sguardo “macro” è presente nel documento: voler rendere l’UE leader globale della transizione verso uno sviluppo sostenibile mediante l’utilizzo della diplomazia multilaterale e il leverage sui rapporti commerciali non basterà certamente a restituire al Vecchio Continente la centralità globale di un tempo ma, senza dubbio, indica la volontà di concepirsi come immersi in un contesto più ampio e non su una torre d’avorio, come magari successo in passato.

Il secondo aspetto positivo può essere individuato nell’approccio che il documento adotta nell’affrontare questa transizione. Un approccio fortemente in contrasto con il cliché che vuole catalogare l’Europa come una fredda e lontana burocrazia che impone dall’alto leggi che equivalgono a tagliole per le persone normali. Infatti, l’assunto di partenza è proprio opposto, ossia che “la transizione deve porre le persone al primo posto, prestando attenzione alle regioni, le economie e i lavoratori, ossia coloro che affronteranno le sfide maggiori”: non tanto l’imposizione di standard troppo alti per molte aziende che, dunque, si trovano ad annegare o a dover licenziare/ridimensionarsi per restare a galla, quanto piuttosto la fornitura di incentivi e finanziamenti per facilitare l’innovazione e l’adeguamento a tecnologie migliori, in linea con gli obiettivi prefissati.

Il terzo punto è contenuto nel metodo: è stato delineato un calendario molto fitto, dettagliato e trasversale in moltissimi settori della società, a indicare che le idee sono chiare e le volontà sono condivise e diffuse. In ciascuno di questi settori c’è già un obiettivo di massima, che lascia intendere i soggetti che saranno coinvolti e i numeri che saranno delineati con più precisione nei prossimi mesi. Un’agenda che solo per il 2020 vede già calendarizzati 36 appuntamenti in cui verranno presentati approfonditamente le linee guida e gli obiettivi per ciascuno di quei settori. Gli ambiti individuati dal piano sono: energia, industria, mobilità, agricoltura, biodiversità, inquinamento, finanza e innovazione. In ciascuno di questi si abbozzano già riferimenti più dettagliati: si va dallo sviluppo tecnologico delle batterie all’impulso della rete ferroviaria, passando per il progetto “From Farm to Fork”, la riforestazione o la strategia per rafforzare le fondamenta degli investimenti sostenibili.

Per questi ultimi, in particolare, si punta a sviluppare una tassonomia che venga adottata da Parlamento e Consiglio Europeo, così da classificare le attività sostenibili nei confronti dell’ambiente. Inoltre, verrà implementato un quadro normativo per la corporate governance, per disincentivare le aziende dal concentrarsi troppo su rendimenti a breve termine, rivolgendo invece la propria attenzione a performance improntate ad uno sguardo di lungo periodo. Allo stesso tempo, le compagnie e le istituzioni finanziarie dovranno aumentare la loro trasparenza in termini di comunicazione di informazioni riguardanti le loro politiche sulla sostenibilità: a tal fine, la Commissione riesaminerà la Non-Financial Reporting Directive

È chiaro che bontà ed efficacia della Commissione Von Der Leyen saranno misurate dalla capacità di implementare queste decisioni e legiferare in merito. Tuttavia, le premesse sembrano quelle corrette per cominciare un percorso che non viva solo di chiacchiere, ma che finalmente tratti i problemi considerandone tutte le sfaccettature, senza banalizzarli o renderli slogan da social media marketing. Se Ursula indica la luna, vale la pena provare a non guardare solo il dito.

Giovanni Gazzoli, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

31/12/2019

 
 
 

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