Quattro grandi transizioni da governare, tra costi sociali e opportunità

Ambientale, digitale, demografica e culturale: mai come in questo periodo storico l'umanità si ritrova ad affrontare importanti transizioni, con tutte le sfide e le opportunità che ne possono derivare. In questo contesto, quale possibile ruolo per le Fondazioni di origine Bancaria?

Francesco Profumo

Sin dalle sue origini, l’umanità si è trovata ad affrontare innumerevoli grandi transizioni. Gli evoluzionisti ci insegnano, infatti, che non si alternano fasi di immobilismo e di accelerazione, ma viviamo in un’ininterrotta transizione, che è il divenire stesso dell’umanità. Sono convinto, infatti, che non stiamo vivendo una svolta epocale, come sostengono alcuni commentatori: la fase attuale è attraversata da profondi mutamenti che partono da lontano e avranno effetti negli anni a venire. In particolare, ritengo interessante approfondire quattro grandi fenomeni che stanno interessando questi anni: transizione ambientale, digitale, demografica e culturale.

In merito alle transizioni ambientale e digitale, suggerisco di andare a rileggere il bellissimo discorso pronunciato dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il giorno del suo insediamento il 27 novembre 2019. È un discorso emozionante, ricco di propositi e di visione, pronunciato appena tre mesi prima dell’esplosione di una pandemia globale che avrebbe avuto un impatto travolgente su tutto il pianeta, a livello sociale ed economico, oltre che di vite umane. Tra gli obiettivi individuati per il futuro della UE la Presidente ha sottolineato l’importanza di cogliere appieno tutte le opportunità della “twin transition” - come allora la definì - ambientale e digitale, auspicando che l’Unione riuscisse ad assumere un ruolo di leadership a livello globale su questi temi. Quello che era chiaro già allora - e con lungimiranza von der Leyen evidenziò - era che queste transizioni dovessero essere accompagnate da uno sforzo di “resilienza sociale”, affinché i cambiamenti non producessero un impatto negativo sulla popolazione. Da quel discorso sono passati poco più di tre anni e gli eventi che si sono succeduti (allora assolutamente imprevedibili) - pandemia, guerra, crisi energetica, inflazione - hanno confermato l’attualità di quelle parole.

C’è poi la transizione demografica. È ormai a tutti evidente che dobbiamo fare i conti con il progressivo invecchiamento della popolazione italiana, dovuto al crollo delle nascite, al calo del numero di migranti che scelgono il nostro Paese quale meta per il loro progetto di vita e alla crescente nuova emigrazione (ormai il 10% dei nostri connazionali risiede stabilmente all’estero, dati Aire). Tutto questo avrà diverse conseguenze: impatterà sulla stabilità del sistema previdenziale, ci imporrà di ripensare al tema della qualità della vita delle persone anziane e della loro non autosufficienza e determinerà una drastica riduzione del numero dei laureati che entrano nel mondo del lavoro.

Per questo, ritengo sia fondamentale accompagnare le prime tre con una profonda transizione culturale. Il contesto che stiamo vivendo è caratterizzato da mutamenti che si succedono rapidissimi e da un perdurante stato di incertezza, per il quale è stato coniato il termine “permacrisis”. Il modello novecentesco, basato su una fase di formazione limitata, seguita da una fase - che si estendeva per l’intera esistenza - in cui lavorare mettendo a frutto le competenze acquisite, non funziona più. Si impone un radicale ripensamento dei nostri sistemi educativi, che metta al centro la consapevolezza che saremo chiamati più volte nel corso della vita a imparare e a disimparare, per poter imparare di nuovo. È già oggi necessaria una formazione che accompagni gli studenti a imparare “come si impara”, perché dovranno farlo molte volte nel corso della loro vita. 

Oggi è fondamentale “governare” queste transizioni, per limitarne gli impatti negativi e fare in modo che tutti possano godere dei loro effetti positivi. E questo almeno per due motivi. Innanzitutto perché tutte le transizioni hanno dei costi sociali, che possiamo facilmente prevedere: in termini di posti lavoro che scompaiono, mancanza di adeguate competenze, divari territoriali che possono acuirsi. Dall’altro lato, però, le transizioni creano anche tante nuove opportunità, che dobbiamo essere pronti a cogliere.

Nello scenario appena descritto le Fondazioni di origine Bancaria sono chiamate ad accompagnare questi processi, per fare in modo che abbiano un “atterraggio dolce”, ovvero che non escludano nessuno, ma si traducano in un innesco di nuove opportunità per tutti, valorizzando le energie e il protagonismo delle comunità.

Un esempio emblematico, tra i tanti, è quello che le Fondazioni stanno realizzando con il Fondo per la Repubblica Digitale: un programma che ha l’obiettivo di accompagnare la transizione digitale, puntando sulle competenze di giovani, donne e persone in cerca di lavoro. È trascorso appena un anno dalla firma del protocollo d’intesa tra Acri, Ministero della Transizione Digitale e MEF, e sono già stati selezionati i primi 23 progetti, che sperimenteranno soluzioni innovative per accrescere le competenze digitali di base e avanzate di giovani donne e NEET. Si tratta di un’esperienza a cui da più parti si guarda con grandi aspettative, perché si sta rilevando un caso di utilizzo efficiente e tempestivo dei fondi del PNRR, attraverso un partenariato pubblico-privato che vede le Fondazioni protagoniste. 

Francesco Profumo, Presidente Acri e Fondazione Compagnia di San Paolo

3/5/2023

 
 

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