Transizione ecologica e demografica come motori del welfare complementare del futuro

Transizione ecologica e tendenze demografiche in atto comporteranno un profondo cambiamento sociale, negli stili di vita ma anche nelle modalità di concepire gli investimenti, l’economia e la finanza: quali opportunità per lo sviluppo di un nuovo modello di welfare complementare?

Michaela Camilleri

Il nostro Paese, come la gran parte del mondo industrializzato, è di fronte a due importanti sfide che comportano un profondo cambiamento sociale, negli stili di vita ma anche nelle modalità di concepire gli investimenti dei patrimoni istituzionali e privati, l’economia e la finanza: si tratta della transizione demografica e della transizione ecologica che, inevitabilmente, comporteranno anche una transizione digitale ed energetica. 

Di fatto, gran parte del “mondo sviluppato” è già ben avviato in una fase di accentuato e prolungato invecchiamento della popolazione. Cambierà la struttura per età della popolazione, l’organizzazione sociale e la struttura familiare. Le ultime previsioni demografiche realizzate dall’Istat confermano innanzitutto la decrescita della popolazione residente: da 59,2 milioni all'1 gennaio 2021 a 57,9 milioni nel 2030, 54,2 milioni nel 2050 fino a 47,7 milioni nel 2070. Oltre alla progressiva riduzione del numero di abitanti, il processo di invecchiamento si farà sempre più marcato e perlopiù governato dall’attuale articolazione per età della popolazione e, solo in parte minore, dai cambiamenti immaginati circa l’evoluzione della fecondità, della mortalità e delle dinamiche migratorie: l’Istituto ha stimato che nel 2050 gli over 65 rappresenteranno più di un terzo dell’intera popolazione (oggi sono già il 23,5%). Al contrario, l’incidenza percentuale degli under 14 è destinata a ridursi dall’attuale 13% al 11,7% del 2050, così come la fascia d’età tra i 15 e i 64 anni che nello stesso periodo scenderebbe da una quota del 63,6% al 53,4%.

Come spiega Istat, la struttura per età della popolazione evidenzia, già oggi, un elevato squilibrio a favore delle generazioni più anziane e non ci sono al momento fattori che possano far pensare a significativi cambi di tendenza, in quanto una svolta nel numero delle nascite negli anni a venire è poco probabile a causa sia del numero decrescente di donne in età fertile sia della prolungata tendenza a posticipare la genitorialità. Nel giro di vent’anni è infatti previsto un incremento delle famiglie ma con un numero medio di componenti sempre più piccolo, che potrà scendere da 2,3 persone nel 2021 a 2,1 nel 2041. In particolare, aumenteranno molto le persone sole, principalmente nelle età avanzate: se già nel 2021 la quota di persone sole di 65 anni e più rappresenta la metà di chi vive da solo, nel 2041 raggiungerebbe il 60%. In termini assoluti, le persone sole arriverebbero a 10,2 milioni (+20%), di cui 6,1 milioni avranno 65 anni e più (+44%). 

Questo incremento comporterà un aumento dei fabbisogni di assistenza, impattando sull’attuale modello di welfare complementare che dovrà rispondere alle nuove necessità (vivere in buona salute, non autosufficienza, assistenza nelle funzioni quotidiane con la presa in carico e l’assistenza domiciliare...) Considerando poi che gli over 65 sono i maggiori detentori di ricchezza mobiliare e immobiliare, oltre a disporre di flussi di reddito certi e non dipendenti dai cicli economici, anche i risparmi e gli investimenti dovranno essere indirizzati verso prodotti e servizi studiati specificamente per questa fascia di popolazione: prodotti finanziari e assicurativi, alimentari, farmaceutici, domotica, device, mobilità e piccoli elettrodomestici per il controllo a distanza della salute (telemedicina) o servizi di svago e assistenza per autosufficienti fino ai grandi non autosufficienti, e molto altro ancora. Come definito nel Quaderno di Approfondimento curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, l’insieme di queste attività e aziende, investibili dal sistema finanziario, compone la cosiddetta Silver Economy, una nuova grande economia in cui l’invecchiamento non viene declinato semplicemente come un costo ma può rappresentare una grande opportunità di investimento. 

Se la transizione demografica non lascia grandi margini per invertire la rotta perché, come abbiamo visto, il futuro è in parte già scritto, la transizione ecologica ed energetica impone invece un grande cambio di passo. Gli investimenti sostenibili in linea con questa transizione sono sostenuti dalle organizzazioni europee e internazionali: dalla UE (la recente tassonomia che fa seguito alla SFDR e al regolamento del 2020), dall’Agenda 2030 dell’ONU (i 17 Goals per un futuro sostenibile) e dal Next Generation UE che vincola gli Stati membri della UE a includere nei propri PNRR, in linea con il Green Deal, il principio del Do No Significant Harm (DNSH), ovvero che gli investimenti non devono arrecare nessun danno significativo all’ambiente, e devono destinare oltre il 30% delle risorse alla transizione ecologica. In particolare, la missione 2 del nostro PNRR, intitolata “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, destina oltre 59 miliardi di euro ai progetti che si occupano dei grandi temi dell’agricoltura sostenibile, dell’economia circolare, della transizione energetica, della mobilità sostenibile, dell’efficienza energetica degli edifici, delle risorse idriche e dell’inquinamento.

Anche gli investitori istituzionali stanno affrontando queste tematiche attraverso la gestione dei propri patrimoni. Da semplice "moda", il percorso degli investimenti sostenibili, pur complicato dalla pandemia e dal conflitto Russia-Ucraina, è ben avviato e praticato - come emerge anche dalla recente indagine condotta dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali - dalla maggior parte di investitori italiani. Oltre la metà dei rispondenti alla survey tra enti previdenziali, Fondazioni di origine Bancaria e Compagnie di Assicurazione ha già adottato politiche di investimento ESG. L’81% di quanti ancora non lo fanno ne ha già discusso in CdA o intende comunque includere in futuro strategie ESG, mentre l’analisi degli investimenti dei player istituzionali del Paese svela l’acquisto di prodotti ESG anche da una parte di quegli investitori che ancora non aderisce “formalmente” alla finanza SRI.

In conclusione, queste grandi transizioni, da un lato, modificheranno gli orientamenti degli investitori istituzionali che, nella gestione dei loro rilevanti patrimoni, oltre ai più tradizionali investimenti core, a quelli nei settori del welfare e dell’economia reale, dovranno tener conto dell’integrazione dei fattori ESG e delle notevoli opportunità legate al mondo della Silver Economy; dall’altro, impongono di riflettere anche sulla necessità di rimodulare il nostro sistema di welfare in termini di sanità, assistenza, cura della popolazione più anziana e non autosufficienza, attraverso una sempre maggiore integrazione tra pubblico e privato al fine di rendere sostenibilità, assistenza e Silver Economy i pilastri del welfare complementare del futuro.

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

18/10/2022

 
 

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